Burioni: «Il vaccino Usa fa un notevole passo avanti. Ma non stappate ancora lo champagne»

15 Lug 2020 16:11 - di Bianca Conte
Roberto Burioni foto Ansa

Burioni, «il vaccino Usa fa un notevole passo avanti. Ma non stappate ancora lo champagne». Lapidario ma non disfattista il virologo Roberto Burioni, nel commentare i risultati della sperimentazione americana. «Un passo notevole verso la sconfitta di questo maledetto coronavirus», spiega a riguardo. Anche se «i risultati della sicurezza sono meno fantastici e la tollerabilità del vaccino non è stata eccezionale». Un giudizio articolato, insomma, quello del virologo del San Raffaele di Milano, Roberto Burioni, sul vaccino sperimentale mRna-1273, prodotto da Moderna e progettato per proteggere dal virus Sars-CoV-2,.i Un lavoro di ricerca e sperimentazione lungo e accurato, i cui primi risultati preliminari sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.

Burioni, «il vaccino Usa fa un notevole passo avanti verso la sconfitta del virus»

«Primi dati dicono che funziona», avverte Burioni. Che poi a stretto giro aggiunge: «Ma non stappate ancora lo champagne, perché non c’è nulla di definitivo. Quarantacinque pazienti seguiti per 57 giorni sono un niente rispetto ai miliardi di persone che dovrebbero essere vaccinate». «Però, il nostro sentimento deve essere quello di una squadra di calcio che scende in campo davanti ai più forti del mondo. E che dopo 20 minuti del primo tempo poteva essere sotto 0-4, e invece si trova a vincere 1-0. La partita è lunga. E tante cose possono succedere, ma – credetemi sottolinea il virologo – quella di oggi è davvero una bellissima notizia che legittimamente ci spinge a un notevole ottimismo».

Ricerca e sperimentazione hanno accorciato i tempi. E di tanto

«Quello che richiedeva più o meno sei-otto anni, è stato fatto in 66 giorni – spiega lo scienziato ricordando i risultati dello studio –. Questo infatti è il tempo che è trascorso dalla definizione della sequenza del nuovo virus, alla prima somministrazione del vaccino a un paziente». Quindi Burioni rilancia anche e aggiunge: «Se qualcuno mi avesse chiesto un anno fa: è possibile fare una cosa del genere? Io avrei risposto certamente no. Per fortuna la scienza va più veloce della nostra fantasia».

Il percorso innovativo del vaccino: si inietta direttamente materiale genetico

Tra l’altro, specifica il virologo del San Raffaele di Milano, «questo vaccino segue una strada radicalmente innovativa. Infatti, per vaccinare il paziente si inietta direttamente materiale genetico, che viene usato dalle cellule umane per sintetizzare la proteina del virus contro la quale si vuole che il paziente produca anticorpi. In altre parole, con i vaccini più tradizionali noi produciamo la proteina del virus in laboratorio, la purifichiamo e poi la iniettiamo nel paziente, che se tutto va bene produce anticorpi contro di essa. In questo caso invece la “macchina” che produce la proteina è il paziente stesso. I vantaggi sono la velocità di sviluppo del vaccino e la facilità (ed economicità) di produzione. Lo svantaggio è che non si sa se funziona».

Promettenti i risultati della sperimentazione

Nel vaccino americano «è stato usato del materiale genetico in grado di far produrre alle nostre cellule la proteina S: quella che permette al coronavirus di infettare le cellule. Ebbene, i primi dati sembrano indicare che funziona – avverte Burioni –. Sono dati estremamente preliminari e derivano da soli 45 pazienti, giovani e in ottima salute. Ebbene, dopo due somministrazioni di vaccino tutti i partecipanti hanno sviluppato un titolo alto di anticorpi diretti contro la proteina S. E, soprattutto, in grado di neutralizzare Sars-CoV-2. Paragonando la quantità degli anticorpi neutralizzanti nei vaccinati a quella presente nel siero delle persone guarite, i vaccinati sembrano avere una risposta più potente. Non si poteva chiedere di meglio».

Il punto è: gli anticorpi neutralizzanti proteggeranno dalla malattia?

«Ora giustamente qualcuno si chiederà: gli anticorpi neutralizzanti proteggeranno dalla malattia? La risposta – precisa il virologo – a questa domanda verrà solo da ulteriori evidenze e sperimentazioni cliniche. Però quello che possiamo dire è che questa misurazione è la più affidabile tra quelle che si possono fare in laboratorio. E che – in modelli animali molto simili all’uomo come i macachi – la presenza di anticorpi neutralizzanti significa protezione dall’infezione che causa Covid-19. Nell’uomo lo vedremo presto».

Tollerabilità del vaccino non eccezionale: è presto per stappare lo champagne…

Infine: l’altra faccia della medaglia sono «i risultati meno fantastici sul fronte della sicurezza. Anche se non ci sono stati eventi gravissimi, la tollerabilità del vaccino non è stata eccezionale – osserva –. Uno dei 45 partecipanti che ha ricevuto la dose più alta ha avuto addirittura la febbre fino a 39.6. Niente di tragico, ma probabilmente sarà necessario lavorare per capire quale dose di vaccino offre il maggiore compromesso tra protezione e sicurezza. Ma, ripeto – ha concluso Burioni sul vaccino Usa – non sono emersi dati che mettano in pericolo la prosecuzione dello sviluppo».

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