Coppi demolisce Bonafede. E sul Csm ricorda con nostalgia Cossiga: mandò i carabinieri

3 Giu 2020 18:58 - di Roberto Frulli

“Essere avvocato o giurista non è garanzia di successo quando si va a ricoprire un incarico come quello del ministro della Giustizia”: così il principe del Foro, Franco Coppi stronca, intervistato dal Foglio, il suo collega, l’avvocato Alfonso Bonafede. Che, per volere grillino, è asceso, inopinatamente, sulla poltrona, pesante, di Guardasigilli. E ora è anche finito al centro delle polemiche per le rivolte in carcere, i boss scarcerati e le nomine contestate. “Rimpiango – infierisce Coppi su Bonafede – un Guardasigilli come Guido Gonella, democristiano, di professione giornalista”. ”Tra i più recenti, anche il leghista Roberto Castelli, ingegnere, non mi è dispiaciuto: lui almeno – rincara la dose Coppi ridicolizzando Bonafede – studiava, s’informava. Sapeva di cosa parlava”. Coppi crocifigge Bonafede anche sulla questione dei boss scarcerati. “Alcune centinaia di condannati per criminalità organizzata sono stati ammessi ai domiciliari per paura del contagio. Un detenuto, le cui condizioni di salute siano incompatibili con la detenzione – ragiona Coppi – ha il sacrosanto diritto di essere trasferito in una struttura apposita. Com’è accaduto a Provenzano, tenuto per mesi in un letto d’ospedale, seppur incapace di intendere e di volere. Ma che motivazione è – si domanda il celebre avvocato – la “paura del contagio”?”. “Ho ragione di ritenere che pure i poveri cristi, finiti in carcere per un furterello, abbiano paura di contagiarsi…e che facciamo? Li mandiamo tutti a casa?”, rilancia Coppi. Il principe del Foro che difese Andreotti, sconfiggendo i teoremi della Procura di Palermo, mena fendenti anche sul Csm. E sul mercato delle vacche emerso grazie alle intercettazioni sul telefono di Luca Palamara. Uno spettacolo devastante per le istituzioni. E per la reputazione delle toghe. “Si è superato ogni limite di decenza, il presidente della Repubblica dovrebbe rifiutarsi di presiedere questo Csm“, dice Coppi. “Nel 1985 – ricorda il legale di Andreotti – il presidente Cossiga ingaggiò un braccio di ferro istituzionale con l’allora vicepresidente del Csm Giovanni Galloni. All’apice dello scontro, fece affluire le camionette dei carabinieri in piazza Indipendenza. Lei s’immagini i carabinieri in assetto antisommossa, con gli elmetti calati in testa, pronti a sfondare il portone se solo Cossiga, in quanto capo dello Stato, lo avesse ordinato…”. E “oggi come allora – sottolinea il legale – servirebbe un gesto forte. Il presidente Mattarella non ha il potere di sciogliere l’organo ma può dire: io non intendo presiedere questo Csm“. Un gesto che, finora, dal Colle non è arrivato. Ma c’è molta altra carne al fuoco sullo spiedo lento della Giustizia. E Coppi è un fiume in piena. Certo non è tipo da lasciarsi intimorire dalla corporazione delle toghe. “Si parla da decenni di come riformare un sistema di selezione che non funziona. L’ordine giudiziario rappresenta l’unica professione alla quale accedi sapendo sin dal principio che, indipendentemente dalla tua futura condotta, arriverai a ricoprire l’incarico più alto per via dello scorrere del tempo”, riflette Coppi sferzando il sistema che garantisce le carriere dei magistrati. ”Le progressioni di carriera, legate all’età, sono praticamente automatiche – spiega il penalista. – Le valutazioni di professionalità sono una mera formalità. Non può destare sorpresa, allora, il ripiegamento corporativo di una categoria che mira essenzialmente alla propria sopravvivenza”. È amara la conclusione di Coppi. “Non cambierà nulla neanche stavolta – si duole. – Una soluzione ci sarebbe. Ma la politica appare paralizzata”. Ecco, dunque, la ricetta del giurista. “Se al Csm venisse lasciata la sola funzione disciplinare e il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi fosse affidato a un organo diverso, non ci sarebbe più la corsa a farsi eleggere”. ”Il compito di nominare procuratori capi, aggiunti e presidenti di sezione potrebbe essere assegnato – suggerisce Coppi – a un collegio di giudizi costituzionali. Integrati con il primo presidente della Cassazione e con il Procuratore Generale. Insomma figure avanti nella carriera. E perciò meno sensibili alle pressioni esterne”. E di fronte all’osservazione che la Sezione disciplinare del Csm ha armi spuntate, Coppi chiosa: “Le leggi le fa il Parlamento. E se il legislatore volesse, potrebbe assegnare all’organo di autogoverno strumenti più incisivi”.

Commenti

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  • Gian Gaetano Caiaffa 8 Giugno 2020

    Ottimo, come altri interventi. A mio avviso, tuttavia, il Presidente della Repubblica dovrebbe presiedere il CSM ogni qual volta si debba nominare il capo delle Procure più significative come garanzia, dalla sua presenza, di procedura corretta, ed imparziale.

  • giovanni vuolo 3 Giugno 2020

    Ma figurarsi se Mattarella si sogna di compiere un gesto tanto giusto e liberale. Ricordo bene invece Cossiga, il “picconatore”, che non perdeva occasione per denunciare il marcio che già da allora covava in Magistratura. Altri tempi, altri Presidenti, altra libertà.