Travaglio in difesa di Davigo: le sentenze? Mentre si aspettano va bene la gogna morale
Marco Travaglio non si smentisce. Il paladino del giustizialismo più azzardato corre in soccorso di Piercamillo Davigo per la sua frase sulle sentenze. L’ex pm di Mani Pulite l’ha pronunciata a Piazza Pulita: “L’errore italiano è quello di dire sempre: aspettiamo le sentenze“. Inquietante, anche perché Davigo è la stella polare della subideologia grillina e del loro falso slogan “onestà, onestà”.
Poiché Davigo è stato sommerso dalle critiche per questa sua uscita, Travaglio è subito sceso in campo con un editoriale sul Fatto. Davigo aveva giustificato la sua uscita con un esempio: “Se invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, non devo aspettare la sentenza della Cassazione per non invitarlo di nuovo”.
Esempio che anche Travaglio riprende spiegando che si tratta di un cavallo di battaglia di Davigo e che lui stesso lo ha sentito ripetere quell’esempio fin dal lontano 1997. Un frase, secondo Travaglio, che illuminerebbe la differenza tra responsabilità penale e responsabilità politico-morale.Solo la prima, dice ancora, viene accertata dalla magistratura con le sentenze. Per la seconda, basta un’intercettazione. Se essa mostra una “condotta sconveniente” da parte di un pubblico ufficiale questi può subito essere dimissionato su due piedi. In pratica Travaglio illustra proprio il fondamento dell’ideologia manettara di cui il suo giornale è principale portavoce.
Ma attenzione, continua, perché la notizia non è la frase di Davigo che tante volte l’ha ripetuta in passato. Ma le reazioni che essa ha suscitato. Un tempo, conclude, queste osservazione facevano “incazzare”solo Berlusconi e i suoi seguaci. Ora anche la sinistra si mette a stracciarsi le vesti. E poi giù stoccate a Repubblica, che in queste settimane è particolarmente nel mirino del Fatto. L’accusa? Prima coccolava Davigo e ora lo critica. Ergo: è incurante della questione morale. La quale, secondo Travaglio, si risolve evidentemente erigendo i magistrati a guardiani della pubblica onorabilità. E per fortuna c’è chi comincia, sul punto, a ricredersi.
Difendere certi comportamenti della magistratura, vuol dire essere fasciocomunisti, ovvero propensi alla dittatura. Però, se si vuole questo schifo, gli schifosi vanno a nozze.