Silvia Romano e il poker di Repubblica con il morto somalo “resuscitato” attraverso una falsa intervista (video)

15 Mag 2020 18:24 - di Paolo Lami
SILVIA ROMANO SOMALIA ALI DEHERE

Un’intervista, sui retroscena del sequestro di Silvia Romano, a un morto (somalo) miracolosamente “resuscitato” da Repubblica. Che, invece, giura di aver fatto un clamoroso scoop sulla ragazza rapita.
Grazie a un colloquio telefonico con Ali Dehere, ufficialmente portavoce somalo del gruppo terroristico  Al-Shabaab. Ma, appunto, altrettanto ufficialmente deceduto – secondo due fonti – nel 2014.
Prima l’Esercito keniota, che lo uccide il 10 gennaio 2014. Poi la stessa Al-Shabaab, che confermò il decesso l’11 marzo dello stesso anno.

Di Ali Dehere non si è, ovviamente, saputo più nulla. Lo si immaginava, oramai felice, assieme alle famose 72 vergini del Corano.
Fino a due giorni fa. Quando, l’11 maggio, è miracolosamente riapparso, come un morto che cammina, sulle pagine di Repubblica.

Ali Dhere, nome di battaglia di Ali Mohamud Raage, avrebbe dunque raccontato al giornalista di Repubblica, Pietro Del Re, diversi particolari del sequestro di Silvia Romano.
Ma, soprattutto, ha confermato il pagamento del riscatto per la liberazione della cooperante italiana. Ed ha  affermato che i soldi ricevuti dal governo italiano verranno spesi per finanziare la jihad. E per acquistare armi.
Una bella pubblicità per i terroristi di Al-Shabaab. Che hanno incassato i soldi del riscatto. E anche un clamoroso ritorno di immagine a livello planetario per la cooperante convertita e sottomessa.

Ieri la doccia fredda per il quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Che appena tre giorni fa aveva istituito un premio di 600 euro settimanali al miglior giornalista della settimana.

In redazione è arrivata, come un fulmine a ciel sereno, la notizia che Al-Shabaab smentiva, sul sito SomaliMemo, uno dei canali di comunicazione privilegiati dai terroristi, l‘intervista ufficialmente rilasciata da Ali Dhere al giornalista di Repubblica Pietro Del Re. E addio premio settimanale da 600 euro.

“L’Ufficio Informazioni di Al-Shabaab ha dichiarato che l’intervista era falsa – ha scritto il giornalista  Liibaan Jeexoow su SomaliMemo citando un “funzionario” del gruppo terroristico. –
Non c’è stata alcuna intervista con il portavoce dei media  sul caso Romano. Il quotidiano italiano La Repubblica l’ha pubblicata come un falso di tasca propria”.

Non solo. Secondo il “funzionario” citato da SomaliMemo, “la falsa dichiarazione di La Repubblica sarebbe una spinta alle politiche razziste in Italia che, negli ultimi giorni, hanno portato attacchi verbali e minacce alla donna musulmana Caa’isha Romano , la quale ha annunciato che si è convertita all’Islam e indossava il velo all’aeroporto di Roma“.

Insomma una bella frittata. Aggravata dall’esposizione mediatica della Romano, intabbarrata nell’abito tradizionale islamico, servita su scala mondiale, alle televisioni di tutto il mondo, da Conte e Di Maio. Un disastro comunicativo, di intelligence e diplomatico. Peggio non potevano fare.

Grande l’imbarazzo. Anche se Repubblica continua a tenere botta come se niente fosse.
I colleghi repubblichini giurano che Del Re è tutt’altro che uno sprovveduto. O un cronista d’assalto malato di scooppismo.
Insomma l’intervista sarebbe autentica, altroché falsa, come sostiene Al-Shabaab.

E’ “grazie a un politico di Mogadiscio – aveva scritto nel suo articolo Pietro Del Re – che riusciamo a raggiungere al telefono Ali Dehere, portavoce del gruppo terrorista islamico Al Shabaab responsabile di decine di spaventosi attentati con cui da una quindicina d’anni funesta la Somalia…”.

Chi c’era, dunque, davvero, all’altro capo del telefono se non Ali Dehere?

A complicare le cose ci si è messa anche quella storia, inizialmente dimenticata e sepolta frettolosamente assieme al morto, che Ali Dehere sarebbe deceduto nel 2014. Morte confermata, come detto, da ben due fonti. Una delle quali sarebbe stata, appunto, la stessa Al-Shabaab.

Il giornalista Fulvio Beltrami, esperto di Africa, aveva scritto su Twitter “un morto non rilascia interviste”. Ed aveva linkato l’articolo dell’11 marzo 2014 di Geeskaafrika dal titolo inequivocabile: “Somalia, il gruppo terroristico ha annunciato la morte del loro portavoce Ali Dheere“.

“Esiste una registrazione della telefonata con il presunto Ali Dheere? – si era giustamente chiesto Beltrami -. Oltre al “politico” somalo la redazione ha contattato la AMISOM e Governo Somalo per verifiche prima di pubblicare il pezzo?”

Nell’articolo di Geeskaafrika veniva spiegato, quel giorno, che “il gruppo Al Shabaab, ha annunciato ufficialmente la morte del portavoce di Al Shabaab, Ali Mohamud Raage (noto Ali Dhere). L’ufficiale militante è morto da martire”.

Geeskaafrika ricordava anche, nell’articolo dell’11 marzo, l’ultima intervista esclusiva rilasciata da Ali DehereHamza Mohamed, senior producer del network televisivo Al Jazeera. Nella quale il portavoce di Al Shabaab affermava che il gruppo armato avrebbe ripreso il territorio perso dalle forze del governo federale somalo.

Sempre secondo l’articolo dell’11 marzo 2014 di Geeskaafrika la morte di Ali Dhere “è il colpo peggiore e più letale per le operazioni di Al-Shabaab nella Somalia meridionale e in Kenya. Ali Dheere non era solo portavoce di Al-Shabaab, ma un attore chiave nella catena di comando dei militanti a Mogadiscio (distretto di Dayniile)”.

E il 6 marzo 2014 il quotidiano keniota Daily Nation aveva rivelato dettagli ancora più precisi sulla morte di Ali Dehere.
Il portavoce di Al-Shabaab, secondo il giornalista di Daily Nation, Fred Mukinda, era spirato il giorno prima, dopo essere rimasto ferito, quasi due mesi prima, in un attacco aereo delle forze di difesa del Kenya penetrate in Somalia.

Gli F-5 kenioti avevano colpito, il 10 gennaio 2014, l’area di Birta Dheere in Somalia nel tentativo di uccidere il leader di Al-Shabaab, Muktar Abdirahman Godane, riuscito a fuggire. Ma più di 30 alti comandanti di Al-Shabaab erano stati uccisi quel giorno dai caccia kenioti. E, fra loro, era rimasto ferito a morte Ali Dehere.

Il decesso di Ali Dehere era stato confermato dal portavoce militare keniota, Emmanuel Chirchir sul suo account ufficiale Twitter: “Il portavoce di Al Shabaab Ali Dhere (alias Ali Mohamed Raghe) alla fine soccombe”.

Dunque com’è possibile che Ali Dhere sia, improvvisamente resuscitato per concedere quell’intervista così dirompente su Silvia Romano a Repubblica?

Secondo alcuni colleghi del giornalista di Repubblica, l’intervista sarebbe autentica ma Del Re sarebbe stato poi ingannato da Al Shabaab con la smentita. Un doppio gioco. Che sarebbe servito ad amplificare ancora di più il clamore mediatico sulla vicenda portando altra acqua al mulino del gruppo terroristico.

Ma c’è un’altra possibilità. Che esistano due Ali Dheere.
Uno effettivamente morto, il portavoce di Al-Shabaab, chiamato Sheikh Ali Dheere. Che era del clan degli Hawiye Murusade.
L’altro forse ancora vivo. Sheikh Ali Mahmoud. Conosciuto in Somalia come Sheikh Cali Dheere.
Un fondamentalista religioso somalo del clan Mohamed Muse, un sottoclan degli Abgaal, che fu determinante nella creazione delle prime Corti islamiche a Mogadiscio.
Molto spesso i due Ali Dheere sono stati confusi fra di loro. E forse è questo che ha rilasciato l’intervista su Silvia Romano a Del Re?

 

 

 

 

 

Commenti

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  • biagio 15 Maggio 2020

    Se due ministri della Repubblica italiana (di Maio e Speranza) hanno affermato che non si è pagato nessun riscatto dobbiamo crederci!
    Qualora emergesse che si sono pagati dai 4 ai 6 milioni di euro, in un Paese serio”, i servizi ed il governo dovrebbero spiegare diverse cose ….