L’Ats chiama per il tampone: solo che l’uomo è morto da settimane. Controlli ai familiari? Non se ne parla…

9 Mag 2020 16:22 - di Redazione
Tamponi foto Ansa

Nel dramma epidemiologico ancora in corso, fin qui si è navigato a vista. Anzi, procedendo a tastoni. Per esempio, con i deceduti segnalati insieme ai dimessi. Menomale che hanno cambiato il sistema di raccolta dei dati. E per fortuna che il giallo dei tamponi, richiesti e non eseguiti, comincia a rivelare criticità e anacronismi. Eppure, nonostante qualche bagliore di luce nel buio fitto delle vicende, ormai difficilmente decodificabili da mesi, continua a tenere alta la soglia dell’allarme e delle denunce per i malfunzionamenti dell’emergenza dichiarata in pandemia. Due casi appena resi noti dal Corriere della sera: uno a Bergamo, e l’altro a Fiorano al Serio, puntano i riflettori su conteggi e tamponi. E non sarebbero neanche casi isolati…

Bergamo, l’Ats chiama per fare il tampone: ma il paziente è morto ormai da settimane…

Dunque, succede che, per esempio a Fiorano al Serio, a casa di una famiglia come tante colpite dal coronavirus, arriva la telefonata dall’Ats. Una chiamata attesa a lungo. tanto che, allo squillo del telefono, tra di loro i familiari si sono detti: «Ecco, l’attesa è finita. Finalmente ci faranno il tampone».  Pura illusione invece, purtroppo. O più precisamente: la chiamata era sì per il tampone, ma non esattamente per loro. Ma destinato a un familiare contagiato che, però, è già deceduto da settimane… La surreale vicenda raccontata dal Corriere della sera è accaduta in casa Fantoni. «Il padre Silvano, 77 anni, ex perito automobilistico, era da tempo malato di Parkinson e altre patologie, e quando è arrivato il coronavirus il suo fisico ha subito ceduto». L’uomo, come spiega sua figlia Alberta, ha cominciato a stare male a marzo. Il 14 del mese si ricovera all’ospedale di Piario. Tre giorni dopo gli viene fatto il tampone. Nelle 24 ore successive, purtroppo, l’uomo non ce la fa e muore.

I familiari delle vittime chiedono di poter fare loro il controllo: l’Ats rifiuta

A quel punto i familiari della vittima chiedono che i controlli possano essere effettuati anche su di loro. Ma dall’Ats spiegano che, nonostante la vicinanza con un congiunto morto per il virus, il tampone per loro non è previsto. Alberta e i suoi aspettano ancora altri giorni. E alla fine, dopo tante insistenze, finalmente eseguono almeno il test sierologico. «Sono risultata positiva – spiega la donna al Corriere – anche se, dopo qualche problema in marzo, ora sto bene. Non si può sapere niente invece su mio marito, che lavora in un supermercato. Su consiglio del medico di famiglia, si è messo in malattia». Un caso speculare a questo si ripete anche a Bergamo. A denunciarlo sui social è un ragazzo che vuole rimanere anonimo. E che al quotidiano di via Solferino racconta: «Per me e mia mamma è ancora una questione dolorosa».

Incredibile: il tampone per i congiunti delle vittime del Covid non è previsto

E spiega: suo padre, 66 anni, ha contratto il virus all’inizio di marzo e ha avuto il primo tampone l’8. Il decesso è sopraggiunto il 1° aprile. La telefonata dell’Ats per il secondo tampone è di venti giorni dopo. Anche il giovane, in quel caso, chiede i controlli del tampone per lui e per sua madre. E ancora una volta si sente rispondere con un rifiuto. Nonostante la vicinanza al genitore morto per il virus conclamatosi nella sua forma più violenta… Ma come i loro, quanti altri casi silenti. Taciuti. Sconosciuti ci saranno? E poi: come fa l’Ats a non sapere che pazienti che hanno avuto in cura sono deceduti? Sul serio i decessi vengono registrati come dimissioni? Oppure, conteggi e aggiornamenti dei casi, come e quando vengono effettuati? tutte domande in attesa di risposta. Proprio come le telefonate e le richieste delle persone appena raccontate…

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