Va bene una App per gestire l’emergenza sanitaria ma chi gestirà i dati raccolti?
O la App, o la vita. Sembra ormai deciso che la nostra libertà di movimento nella Fase 2 dipenderà dalla scelta di scaricare, o meno, l’applicazione Immuni sul nostro smartphone. Questo dispositivo, infatti, aiuterà a identificare individui potenzialmente infetti prima che emergano sintomi impedendone la trasmissione ad altre persone. In pratica, la app crea un registro in cui ci sono tre informazioni: qual è il dispositivo, ovvero a chi appartiene, con il quale si è stati in contatto; a che distanza; per quanto tempo. In questo modo, se un soggetto risulta positivo a seguito di un test, l’operatore medico autorizzato dal cittadino positivo fa inviare un input/messaggio di alert per informare tutti quegli utenti identificati che sono entrati in contatto con lui.
Il tutto dovrebbe avvenire in maniera anonima e soprattutto volontaria. Se, però, almeno il 60% della popolazione non scarica questa app, i risultati saranno nulli. Sull’opportunità o meno di usare questo strumento le perplessità sono molte. Alcune legittime, perché si tratta di essere sempre geolocalizzati, di entrare a far parte di una banca dati le cui informazioni possono essere gestite anche per fini ignoti, di abolire definitivamente la nostra privacy e quella delle persone che vengono in contatto con noi. Altre, invece, sono opinabili. Ci si lamenta per il controllo che altri avranno della nostra vita, quando poi si spiattella su Facebook o Instagram di tutto e di più. Il problema non è app sì, app no, giacché usare le nuove tecnologie per combattere il virus può essere anche molto utile. Il problema è: quali garanzie avranno i cittadini italiani? Ci sono dei diritti costituzionali che vanno tutelati sempre, e non può certamente essere un commissario di una qualunque task force a derogare dai diritti costituzionali senza che sia il Parlamento ad essere investito di decisioni così importanti.
E poi c’è la non secondaria questione della gestione dei dati raccolti, dove vengono conservati e per quanto tempo, di chi è la proprietà. Ad allarmare sono anche altri due elementi non trascurabili: la app tanto volontaria non è, visto che il governo pensa di limitare gli spostamenti per chi non la scarica. E inoltre, per chi non ha dimestichezza con le nuove tecnologie, ci sarebbe in sostituzione un braccialetto elettronico. Che il governo ci avesse messo agli arresti domiciliari lo avevamo capito da tempo. Adesso ne abbiamo la certezza. Dobbiamo vederci chiaro, perché la nostra libertà non è in vendita.