Ricostruzione dopo la pandemia, liberismo al tramonto: lo riconosce anche Bankitalia

29 Apr 2020 16:28 - di Aldo Di Lello

«L’economia avrà bisogno di un adeguato periodo di sostegno e rilancio, durante il quale politiche di bilancio restrittive sarebbero controproducenti». Lo afferma il Capo del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia Eugenio Gaiotti in audizione sul Def. Sembra un’affermazione meramente tecnica e neutra. Ma non lo è perché anche la massima istituzione monetaria nazionale riconosce implicitamente che il liberismo è al tramonto. E non è cosa da poco, dal momento che Bankitalia  è parte integrante del sistema di potere finanziario europeo, che ha trovato finora, proprio nel liberismo, le sue linee guida.

Liberismo addio nel nuovo dopoguerra

Non è solo un problema italiano, ma globale. Il contrasto agli effettivi recessivi del coronavirus è paragonato a una guerra. E le guerre comportano sempre la fine di un ordine economico. Con la conseguente nascita di un altro ordine. Questa  pandemia è un unico nella storia mondiale e i suoi effetti non possono certo essere considerati meramente congiunturali. Nel “nuovo dopoguerra”, come è definita la fase post-coronavirus, ci sarà sempre meno spazio per le dottrine monetariste (egemoni per oltre un trentennio nelle istituzioni politiche occidentali). E si assisterà invece alla riscoperta delle teorie keynesiane, con la fine dei tagli selvaggi alla spesa pubblica e la conseguente riaffermazione di politiche di bilancio espansive.

Il liberismo aveva del resto già ricevuto un duro colpo dalla crisi finanziaria del 2008. Ora il coronavirus sembra infliggergli il colpo decisivo. E vale la pena anche notare la differenza con quanto accadde dodici anni fa. Se  all’epoca gli aiuti pubblici finirono nelle casse delle banche in difficoltà, oggi il flusso di risorse prenderà la via dell’economia reale.

Così negli Usa di Trump, dove i 2000 miliardi di dollari annunciati dal presidente sono in gran parte destinati alle imprese e ai cittadini. A differenza di quello che fecero George W. Bush e Barack Obama.

Il ritorno della “mano pubblica”

Discorso non dissimile riguarda l’Europa. «La“mano pubblica” – scrive Diego Bolchini sul Sole 24Ore del 12 marzo– dovrebbe poter lavorare liberamente, quando la cosiddetta “mano invisibile” appare spaventata, smarrita, evanescente o non rintracciabile dietro la saracinesca chiusa di un esercizio commerciale. In questo senso, in quadro congiunturale totalmente mutato da quanto fu firmato nel 1997 il Patto di Stabilità, l’Europa dovrebbe poter lasciare adeguati margini di flessibilità fiscale e di deficit pubblico sufficienti, pur traguardando all’importanza dell’accordo sul nuovo bilancio del 2021-2027. Incoraggiante in questo senso quanto espresso dall’attuale Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, tratteggiando il suo bilancio dei primi 100 giorni di attività».

«Ciò in quanto la politica fiscale è strettamente interrelata al bilancio dello Stato ed è per definizione espansiva in fase di recessione e restrittiva in fase di espansione (anticiclica). Un G “puro”, un intervento diretto su infrastrutture e acquisti di ordini dalle aziende potrà dare ossigeno al complesso e rilevante sistema di PMI nazionali ed europee, se si considera che micro, piccole e medie imprese (MPMI) costituiscono oltre il 95% del tessuto imprenditoriale dell’Unione Europea. Salvaguardare il tessuto industriale è inoltre fondamentale non solo nel breve ma anche nel lungo periodo, per non fare perdere nel medio periodo posizioni competitive già acquisite».

La mano invisibile del mercato non è più una regola assoluta

Nel 1945, il dopoguerra della ricostruzione post-bellica prese la via di nuovi istituzioni economiche internazionali (Fmi, Banca mondiale) e del Piano Marshall. Le prime due istituzioni, unite alla convertibilità  oro-dollaro, furono la sostanza dei famosi accordi di Bretton Woods.

Oggi non sappiamo come sarà il nuovo ordine mondiale del dopo-coronavirus. Però due cose sono certe. Primo, non si potrà comunque tornare alla fase del deficit spending keynesiano, perché  il debito sovrano è in tutti gli Stati elevatissimo. Secondo, non si potrà però nemmeno  invocare la “mano invisibile” del mercato come regola intangibile e assoluta. Come è avvenuto in questi decenni di riduzione del welfare state, di politiche di bilancio restrittive e di impoverimento inesorabile dei ceti medi.

 

 

 

Commenti

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  • roberto alessi 2 Maggio 2020

    Articolo sorprendente, come si può parlare di liberismo in Europa dove gli stati spendono da 40 al 60 percento della ricchezza prodotta ? Parlare di libero mercato in europa vuol dire non avere idea di cosa sia. Tutti gli stati usano politiche “keynesiane”, nel senso di utilizzare denaro pubblico o peggio fiat, per iniziative assistenziali che aumentano la spesa per welfare, altro che tagli. Di politiche fiscali espansive non si è vista nemmeno l’ombra ( 8,5 milioni di cartelle !) . Se questa è la cultura economica del quotidiano della confindustria ..

  • PAUL 30 Aprile 2020

    E’ una analisi molto reale e condivisibile: dopo una guerra è necessario un
    cambio di rotta, un piano straordinario per risollevare il Paese.
    Purtroppo la classe politica che ci governa NON E’ ALL’ALTEZZA, E
    BISOGNA ASSOLUTAMENTE SOSTITUIRLA.