Usa, la crisi del Partito democratico è irreversibile. La politica ossessiva contro Trump non paga

13 Mar 2020 12:43 - di Claudio Pasquini Peruzzi
trump

Usa, il Pd è senza speranza. L’inesorabile crisi di identità che dal 2016 (anno dell’elezione di  Trump)  avvolge il Partito democratico statunitense non sembra avere via d’uscita. La luce alla fine del tunnel appare sempre più distante. E irraggiungibile.

Usa, Il Pd è senza chances

Il Partito democratico dinamico e rivoluzionario, almeno nelle intenzioni, non ha via d’uscita. Si era costruito attorno alla figura emergente dell’allora Barack Obama. Giovane astro nascente della politica statunitense e democratica. Portatore di un linguaggio innovativo e carismatico. Dopo aver dominato il palcoscenico politico dal 2008 al 2016, appartiene oramai ad un’epoca lontana. Riposta nel dimenticatoio della memoria politica. Quello attuale è un partito inabissato in una profonda crisi d’identità. Incapace di mettersi in discussione. E inconsapevole del fallimento della sua (non) strategia politica.

Una politica miope tutta anti-Trump

Dal momento dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il partito democratico ha portato avanti una politica di opposizione esclusivamente in chiave anti-Trump. Miope e distruttiva. Un “anti-trumpismo” senza confine ed esasperante. Diventato parte integrante della raison d’être dei democratici. Sempre più alla deriva e privi di un programma con delle proposte mirate.

Il boomerang dell’impeachment

L’esempio lampante è la procedura di messa in stato di accusa nei confronti del presidente (impeachment). Con cui i democratici rischiano paradossalmente, vista la recente assoluzione di Trump da parte del Senato a maggioranza repubblicana, di ottenere il risultato opposto a quello auspicato. Ovvero il secondo mandato del magnate. E tutto ciò perché l’atteggiamento fanatico ed irrazionale “dell’anti-trumpismo” non fa altro che alimentare il consenso nei confronti di Trump. Un fenomeno che non si sconfigge nelle aule di tribunale. Né tantomeno mediante l’uso strumentale della narrazione conformista. Veicolata quotidianamente dalla stampa. Tesa a screditare l’operato dell’amministrazione repubblicana, bensì nelle urne.

Il partito democratico riversa dunque in uno stato di isteria, il cui apice di crisi si è manifestato il 5 febbraio in occasione del discorso al Congresso del presidente Trump sullo Stato dell’Unione, quando Nancy Pelosi, figura di spicco dei democratici, nonché presidente della Camera dei rappresentanti, ha strappato, con un gesto fortemente simbolico e teatrale, il testo del discorso pronunciato da Trump.

Il dissenso interno ha consumato i consensi

Negli ultimi anni, il percorso politico del partito democratico è stato caratterizzato da un forte dissenso interno. Mutatosi in due correnti principali, che hanno alimentato una divisione ideologica. Già presente nel duello tra Hillary Clinton e Bernie Sanders nell’ambito delle primarie democratiche del 2015-2016. Da una parte i democratici moderati e dall’altra i socialdemocratici. Questa frattura interna continua ad essere parte integrante della vita politica del partito democratico. Dallo scontro Clinton-Sanders si è passati al duello Biden-Sanders. Saranno loro i protagonisti del duello finale delle primarie democratiche che si stanno svolgendo.

È cambiato uno dei due contendenti, rispetto al 2015, ma la contrapposizione ideologica è immutata. E pone il moderatismo di Joe Biden, già vicepresidente nell’amministrazione Obama, contro la rivoluzione populista anti-élitaria del socialista Bernie Sanders. Insomma, la classica dicotomia “casta contro élite”.

Al contrario di Biden, sostenuto da quasi la totalità del partito democratico e forte dell’appoggio dei mezzi di informazione, il senatore del Vermont, Bernie Sanders, risponde ad una domanda di radicalità. Presente in una parte del tessuto sociale americano, in particolare tra i giovani, che chiede con forza il rovesciamento dello status quo.

Manca poco meno di un anno alle prossime elezion. Eil partito democratico deve scegliere il candidato e, di conseguenza, la strategia da adottare per sconfiggere il presidente in carica. Nel corso di questo primo mandato presidenziale Trump è riuscito a plasmare il partito repubblicano a sua immagine e somiglianza. Mentre i democratici rimangono divisi in due correnti. Con quella moderata rimasta ancorata all’era di Obama. Che non riesce a conciliarsi con l’ala più radicale e progressista del partito.

Le ultime vittorie di Biden negli Stati del Michigan e del Missouri – zone chiave della classe lavoratrice americana – rappresentano un trampolino di lancio verso la scalata al vertice del partito. L’ex numero due di Obama ha già conquistato 864 delegati mentre Sanders è fermo a 710. Che è la soglia minima necessaria per ottenere la nomination è di 1.991 delegati.

Il 17 marzo gli elettori dem saranno chiamati alle urne in quattro Stati (Arizona, Florida, Illinois e Ohio). Con 219 delegati, lo Stato della Florida sarà fondamentale per le sorti future dei due candidati. Nonostante la strada verso le nomination sia in salita, Sanders non ha intenzione di alzare bandiera bianca. E continuerà la sua campagna elettorale fino a quando non sarà la matematica a condannarlo.

Secondo alcuni, Sanders è colpevole di tendere la mano a Trump. Un quanto il suo mancato ritiro dalla corsa impedisce al partito di compattarsi attorno al candidato “prescelto”. Che in questo momento sembra essere Biden. Il dualismo ad oltranza, infatti, potrebbe essere una bomba ad orologeria per gli equilibri interni al partito democratico. Che rischia di arrivare alla Convention di luglio con una frattura interna ancora più profonda. Come si sconfigge Trump? Erodendo il bacino elettorale dei moderati e convergendo il consenso verso l’ala social-progressista? O vice-versa?

Commenti

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  • giovanni vuolo 13 Marzo 2020

    Non è questione di strategie. È solo che, come dicono a Napoli, ” Ca’ nisciuno è fesso “, e la sinistra, con le sue demagogie insensate e distruttive, sta stancando tutte le persone di buon senso, che sono ancora tante.