«La legge Spazzacorrotti non è retroattiva». La Corte Costituzionale zittisce Bonafede

12 Feb 2020 15:02 - di Redazione

È illegittima l’applicazione retroattiva della legge “Spazzacorrotti. Lo ha rilevato la Corte costituzionale che ha esaminato oggi, in camera di consiglio, le censure sollevate da numerosi giudici sulla retroattività della legge. Che ha esteso ai reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni previste dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario rispetto alla concessione dei benefici e delle misure alternative alla detenzione.
«In particolare – fa sapere l’ufficio stampa della Corte Costituzionale – è stata denunciata la mancanza di una disciplina transitoria che impedisca l’applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019».

Una bella bocciatura per il ministero della Giustizia, che ieri aveva già incassato il parere negativo dell’Avvocatura dello Stato. Che in udienza si era espresso contro la retroattività. L’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi, aveva chiesto ai giudici di definire la questione con una sentenza “interpretativa di rigetto”. Non dichiarare quindi illegittima la norma contenuta nella legge Spazzacorrotti, ma interpretarla nel senso della “non retroattivita'”. E dunque ritenendola non applicabile a fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Lo “spazzacorrotti” frenata dalla Consulta

Oggi la precisazione della Consulta. «La Corte costituzionale ha preso atto che, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente. E che questo principio è stato sinora seguito dalla giurisprudenza anche con riferimento alla legge n.3 del 2019», si fa sapere dalla Consulta.

La Corte ha dichiarato che “questa interpretazione è costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna”.

Secondo la Corte, infatti, “l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale”. “Rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”.

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