“Il giorno in cui tutti i bambini scapparono di casa”, l’ultimo libro di Marina Presciutti
“Gli occhi erano scuri come la notte delle fiabe e le ciglia sfarfallavano simili a frange di un tappeto volante. Una scossa elettrica gli attraversò la schiena. ‘Dov’è Briciolo?’. Nella calca uno spiraglio lasciò intravedere una miniatura di identica beltà che sorrideva e distribuiva baci. E chiedeva, chiedeva di lui…“. L’incipit è quello di un libro per bambini, ma se è vero che Marina Presciutti fa parlare creature piccole e indifese, in realtà loro si rivolgono ai grandi. Quelli maturi, quelli che sanno tutto della vita, o forse niente. A loro i bambini raccontano l’incontro con gli altri, a prescindere dall’età, dal sesso, dalla nazionalità.
Marina Presciutti, dalle signorine a bambini
“Il giorno in cui tutti i bambini scapparono di casa” (Il Seme Bianco, pp.80, 9,90 Euro) è la seconda opera letteraria di Marina Presciutti, napoletana di nascita e romana di adozione, giornalista passata disinvoltamente dagli “esercizi spirituali per signorine” ai racconti subliminari di bambini a caccia di occasioni di incontro.
Il protagonista del volume è Briciolo, vispo scolaretto di sei anni, che decide di scappare di casa e diventare migrante quando apprende che Nabila, la bambina siriana di cui è innamorato, è stata allontanata da scuola. Nabila ha otto anni, è orfana ed è in fuga dalla guerra come tanti migranti. Dal gesto di ribellione del bambino nascerà un’avventura collettiva destinata a sconvolgere e pungolare il mondo degli adulti.
“È un libro per tutti – afferma la Presciutti – da leggere con scanzonato spirito bambinesco. Recuperando quell’innocenza di sguardo che le sovrastrutture e le diffidenze di adulti ci impediscono di conservare come aspetto più bello dell’infanzia”.
Una storia allegra e malinconica
Un libro per tutti, soprattutto per tutti gli umori. “È una storia allegra – aggiunge Marina Presciutti -. E, come tutte le storie allegre, è percorsa da una sotterranea malinconia. Anche se la cifra è la leggerezza, la realtà c’è tutta e riguarda l’immaginario negativo che molti associano alla condizione di migrante, come di qualcuno che rappresenta una minaccia per le nostre società”.
Nel libro, al contrario, “migrante” è una condizione che i protagonisti scelgono per protesta e per spirito di avventura. “Un modo per ribellarsi ad adulti insensibili, indifferenti, ma anche una straordinaria occasione per inalare il respiro del mondo oltre l’angusto orizzonte del paesino. Non a caso, le scalmanate piccole pesti di “Il giorno in cui tutti i bambini scapparono di casa” ammettono nella loro ristretta consorteria solo grandi che non somigliano ai grandi. “Adulti temperati”, come li definisce l’autrice.
La scelta di diventare migrante
Ecco uno stralcio del primo capitolo. “Che cosa volete fare da grandi?” aveva scritto alla lavagna la stessa maestra che solo pochi minuti prima, senza dare alcuna spiegazione, aveva comunicato all’intera classe che Nabila, la compagna di banco di Briciolo, non sarebbe più venuta a scuola, liquidando sbrigativamente la futura assenza della bambina siriana come un nonnulla, un evento per cui non valeva la pena spendere neppure due parole di circostanza. Fu in quel preciso momento che Briciolo decise cosa voleva fare da grande, ma si guardò bene dal
comunicarlo alla maestra. “Il migrante voglio fare!” la sua vocina interna rimbombò nel silenzio sepolcrale che gli invase il cuore”.
“Non è poi così difficile, quando le cose si mettono di traverso, trovare un modo per farle ritornare al loro
posto: i grandi si disperano prima di trovare una soluzione perché non sono disposti a mandare all’aria
tutto, anche se – a sentirli piagnucolare – sembra che quel che han perso sia la ragione della loro vita. Ma
ai bambini cosa gli importa di mandare in malora quel poco che hanno?”.