Nella guerra Usa Iran si alternano missili e parole. Ma resta comunque la paura nel mondo

9 Gen 2020 6:00 - di Francesco Storace
Usa Iran

Trump ha deciso il raid in Iraq a caccia del generale Soleimani. E ora sempre Trump decide che ci saranno nuove sanzioni contro l’Iraq. Dal terreno bellico a quello propagandistico, la guerra tra americani e iraniani continua tra missili e parole. Attorno a loro, la paura nel mondo.

Al cimitero è finito l’iraniano che Trump considerava un terrorista, ma che in Patria è stato accompagnato nell’ultimo viaggio da un popolo che lo ha indicato come Patriota.

Gli iraniani lanciano missili e annunciano con la loro televisione ottanta morti tra le forze militari nemiche. Ma nel gli States, né l’Iraq, né la coalizione occidentale – Italia inclusa – lamentano perdite. Anche se Baghdad accusa Teheran di voler trasformare il Paese in campo di battaglia terzo. Poi, cade – abbattuto, pare – un aereo ucraino con centinaia di passeggeri e tutti di nuovo a guardare all’Iran.

Guerra di missili parole tra Usa e Iran

Se c’è confusione nel mondo, tutto questo è lievito. A volte pare di assistere ad una gara a spintoni, a smargiassate di quelli che si vedono in periferia. Ma di mezzo ci sono, invece, tecnologie sofisticate e bombardamenti veri. Su obiettivi sbagliati deliberatamente, pare di capire. Solo per lanciare avvertimenti. Dicono fonti americane: l’Iraq ha avvertito gli Stati Uniti che l’Iran stava per attaccare le sue forze militari in due basi del Paese. Ci sarebbe stato un “messaggio verbale ufficiale” consegnato da Teheran a Baghdad che a sua volta lo avrebbe “passato” ai vertici militari Usa. Guerra per segnali.

Ma la domanda è: se gli iraniani odiano l’America, nuove sanzioni – oltre all’assetto di guerra permanente – aiutano ad evitare le tensioni nel mondo o le fanno crescere?

Ma siccome una guerra non è una scampagnata, le conseguenze di questi atteggiamenti non ritarderanno. Trump ha giustificato il blitz di Baghdad per evitare centinaia di morti. Ora rischia di contarli se sottovaluta quel che può accadere nel mondo arabo. Fresca è nella memoria di quei popoli l’immagine delle prove fasulle che Colin Powell esibì alle Nazioni Uniti all’epoca della guerra a Saddam Hussein.

Gli interessi in campo

Il tema sono gli interessi delle parti in campo. Se è vero che gli ottanta morti di ieri notte erano solo una notizia da gettare in pasto ai media mondiali potrebbe essere servita agli iraniani per dimostrare capacità di reazione al loro popolo e più in generale ai paesi della regione mediorientale. Gli americani possono attendere per una ritorsione immediata, non essendoci vittime sul terreno di guerra. Fino al prossimo incidente che farà dimenticare le apparenti prudenze di queste ore di dichiarazioni, scatenando per davvero il conflitto.

Il mondo resta comunque nelle mani altrui. In casa nostra i servizi cominciano ad allertare le forze di polizia, perché la paura del terrorismo monta. L’Italia è impegnata sul fronte libico, Conte voleva fare il colpaccio del dialogo separato con Serraj e Haftar, ma il primo gli ha fatto marameo. Siamo al punto che l’informativa urgente del ministro degli Esteri Di Maio sui teatri di conflitto si terrà mercoledì della prossima settimana…

Vabbè, il governo italiano attenderà notizie più facilmente collegandosi con la Cnn. Oppure con Fox news.

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