Il Pd al governo non è pervenuto. Il “decisionista” Zingaretti è in balìa dei 5Stelle

4 Gen 2020 14:10 - di Redazione
Zingaretti

L’implosione dei 5Stelle è solo l’elemento più visibile del panorama politico. Più che Di Maio, messo all’angolo dall’ex amico fraterno Di Battista,  il vero sconfitto nel panorama politico di queste settimane si chiama Nicola Zingaretti. Decisionista solo all’apparenza. Dall’esperienza di governo con i grillini non è riuscito “a portare a casa” nessun risultato capace di rimettere in moto la macchina del Pd. E di fatto svolge il ruolo di comprimario.

Zingaretti è politicamente scomparso

È la tesi di Franco Bechis che sottolinea la sostanziale scomparsa del Partito democratico dall’agone politico. E l’irrilevanza delle dinamiche di Palazzo Chigi. «Non tanto perché con la scissione di Matteo Renzi ha avuto percentualmente assai più defezioni dei grillini. È politicamente desaparecido quel che resta del Pd. Completamente soggiogato da Di Maio e dal suo movimento Cinquestelle».  I due oggi hanno avuto un incontro a Palazzo Chigi di 45 minuti. Prime prove di verifica? Al centro del colloquio, ovviamente “positivo” e “costruttivo”, la situazione politica generale. «È stato un primo confronto sul percorso da avviare per definire i prossimi obiettivi di governo», si legge in una nota congiunta.

Il Pd al governo è soggiogato dai 5Stelle

I numeri non certificano una emorragia  per il partito di Di Maio, osserva controcorrente il direttore del Tempo.  «Quasi tutti in queste ore stanno celebrando il funerale del M5s. La frana in Parlamento – scrive Bechis– a dire il vero non è oggi così clamorosa. Al momento non fanno più parte del gruppo dei grillini alla Camera (compresi i due abbandoni di ieri) solo il 3,60%. Nella scorsa legislatura se ne andò dal gruppo a Montecitorio il 19,20% degli eletti. In Senato oggi non fa più parte del gruppo il 9% di chi arrivò il primo giorno. Nella scorsa legislatura se ne andò via il 26,4% degli eletti. Chi è veramente scomparso in questi mesi è il Partito democratico di Nicola Zingaretti».

Il confronto con i successi che i grillini possono rivendicare dall’inizio della legislatura è tutto a sfavore del leader dem.  «Non ha tutti i torti il ministro degli Esteri a rivendicare le quaranta leggi “grilline” portate a casa», prosegue Bechis.  «Zingaretti fin qui nemmeno un fico secco, e se non ci è riuscito con la manovra figurarsi se riuscirà a prendere le briciole del resto. A parole il segretario del Pd sembra un decisionista pazzesco. Solo che la sua parola vale pochino. L’ha capito il leader della Lega quando prima di mettere in crisi Giuseppe Conte aveva telefonato a Zingaretti sentendosi dire senza mezzi termini: “Io voglio andare alle elezioni!”»

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