Giustizia, l’inaugurazio dell’anno giudiziario non sia il solito elenco di buone intenzioni
Giustizia. Come ogni anno, il prossimo sabato si celebrerà presso l’Aula Magna del Tribunale di Milano, l’inaugurazione dell’anno giudiziario; rituale che si replica, quasi contemporaneamente, in tutti i distretti di Corte d’Appello del territorio nazionale. L’evento è preceduto di un giorno presso la Corte di Cassazione, dove il momento è più solenne: sia per la suggestione del luogo; sia per la rappresentatività delle alte cariche istituzionali.
La risonanza mediatica è notevole perché consegna un momento di riflessione pubblica. I rappresentanti dell’Autorità Giudiziaria e gli esponenti delle Alte cariche Istituzionali, ma anche dell’avvocatura s’incontrano. Facendo un bilancio di quanto accaduto nell’anno che si è appena consumato; per affrontare quello appena iniziato, con rinnovata determinazione. Almeno questi sono i propositi.
Messi alla prova i tre poteri dello Stato
Un passaggio obbligato, di apparente coesione, che con cadenza annuale, vede riuniti il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Oltre che il Presidente della Repubblica. Non sempre, però, dagli eventi che hanno caratterizzato l’anno giudiziario passato vengono tratte le medesime conclusioni da parte di coloro che assistono all’evento. La storia recente ci ricorda come ciclicamente l’autonomia e l’indipendenza dei tre diversi poteri dello Stato vengano messi alla prova. Soprattutto nei momenti di instabilità politica. Ed è innegabile che ora ne se stia vivendo uno.
Giustizia le mille contraddizioni
Quando ciò accade, le leggi partorite dalla sintesi di ideologie contrapposte magari rispondono alle esigenze elettorali di una certa parte politica, non necessariamente quella più rappresentativa; oppure, e più facilmente, rispondono all’urgenza di risolvere un problema (spesso volutamente) dimenticato. In ogni caso, risultano sbilanciate. Questa scarsa ponderazione del peso che un potere esercita sull’altro o degli effetti che possa produrre una legge, nella miopia del legislatore, la si misura nella sua applicazione concreta.
Il giustizialismo incontrollato, come l’indiscriminato inasprimento delle pene, genera spesso sproporzioni. Che l’insindacabile ampia discrezionalità di cui dispone il singolo Magistrato, potrebbero enfatizzare. La legge «spazzacorrotti», quella sull’«interruzione della prescrizione» ed altre misure che si intendono introdurre alimentano i dubbi sulla stabilità del sistema giudiziario.
Poiché l’amministrazione della Giustizia, che si attua attraverso la legge, è affrontata nel nome (e nell’interesse) del Popolo, la Camera Penale di Milano (un’associazione e non una voce istituzionale) ha ritenuto di sottolineare che la deriva che s’è presa, viola alcune norme della nostra Carta Costituzionale; ed altrettante della Carta dei Diritti dell’Uomo. Considerazioni rivolte a margine di alcune affermazioni, pronunciate in più occasioni pubbliche dal Presidente Pier Camillo Davigo, nella sua funzione di massimo esponente del CSM.
La civiltà di una nazione si valuta anche (o forse soprattutto) dall’efficienza del sistema giudiziario; con ciò intendendosi la sua ordinata amministrazione, nel rispetto dei diritti di tutte le parti processuali; e della “parità di armi”. Pensiero che dovrebbe essere condiviso da chiunque, qualunque sia il suo credo politico.
Ma per chi lavorano e quali sono i loro patrner Politici?