Ex Ilva, non è vero che Arcelor Mittal aveva deciso di andarsene. Il governo italiano è confuso…
Diversi mezzi pesanti si sono già schierati davanti alle portineria dello stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto. In segno di protesta per i crediti vantati in generale dalle aziende dell’indotto (non solo dagli autotrasportatori) nei confronti dei gestori di Arcelor Mittal. Secondo quanto si apprende al presidio sono arrivati e arriveranno anche da fuori regione. Sul posto sono arrivati il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e il presidente della Confindustria Taranto Antonio Marinaro.
Ma la Arcelor-Mittal, che gestisce le acciaierie di Taranto, sta rispettando il piano ambientale, anzi lo sta anticipando. Lo sostiene il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Il ministro afferma che lo scudo penale non serve perchè la Arcelor-Mittal è in regola. Il ministro però dimentica che gli impianti sono sotto sequestro giudiziario e che operare senza lo scudo penale significa andare a giudizio, con l’accusa di disastro ambientale e attentato alla salute pubblica.
La fake news è che da più parti si sostiene che la Arcelor-Mittal aveva già deciso di andarsene per privilegiare investimenti in India. In realtà però Arcelor-Mittal ha vinto una gara europea per la gestione degli impianti, prevedendo investimenti per 4,2 miliardi con un contratto vincolante per 5 anni. La realtà è che il Governo, annullando lo scudo penale, ha modificato i presupposti contrattuali, determinando le condizioni per la rescissione del contratto con Arcelor-Mittal. Lo sostiene l’Aduc, l’associazione pe rla difesa di utenti e consumatori.
Meloni: possiamo competere con i cinesi?
Sulla vicenda interviene anche Giorgia Meloni. “La grande questione è non aver affrontato da parte dei governi di questi anni il tema della sfida siderurgica in Europa. Non si può non vedere che nel 2018 la Cina ha quadruplicato le proprie esportazioni di acciaio in Europa. Significa che l’Europa è invasa da acciaio cinese a basso costo. Se l’Europa è invasa da acciaio cinese a basso costo la produzione di Ilva, che è una produzione di acciaio di qualità ma non a basso costo, può reggere?”. Se lo è chiesto Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, a Unomattina. “Questa domanda – ha aggiunto – non se l’è mai fatta nessuno e noi non possiamo aspettarci che le cose accadano da sè”.
“Bisognava affrontare la questione del siderurgico in Europa, cercando di capire quale dovesse essere lo sviluppo dell’Ilva di Taranto. E lo dico a maggior ragione oggi che si parla di nazionalizzazione. Se si pensa di mettere risorse pubbliche nell’Ilva per salvare posti di lavoro, per salvare un’azienda importantissima italiana, in ogni caso – ha concluso Meloni – bisogna rispondere alla domanda. Ossia se noi possiamo competere sulla produzione dell’acciaio con i cinesi. Se non possiamo competere chiediamoci che cosa deve produrre Ilva. Questa è un risposta che non so dare perchè non sono un esperta di siderurgico, però questa è la domanda”.
Intanto si apprende che si terrà il prossimo 27 novembre l’udienza del ricorso cautelare e d’urgenza presentato dai commissari straordinari dell’ex Ilva. Col ricorso si chiede al tribunale di Milano di intervenire su ArcelorMittal che intende recedere dal contratto di affitto, dato il venire meno – a suo dire – di alcune condizioni. L’udienza, che si incardina nella causa civile sollevata dal gruppo franco-indiano intenzionato a lasciare Taranto, si terrà davanti a Claudio Marangoni, che presiede la sezione del tribunale specializzata in imprese.
Il giudice all’Ilva: non spegnete gli altiforni
Un invito a non spegnere gli altoforni di Taranto e a continuare l’attuale produzione dell’ex Ilva. E l’invito, in sintesi, che arriva dal giudice di Milano Claudio Marangoni chiamato a decidere sul ricorso d’urgenza presentato dai commissari straordinari dell’acciaieria. Per tentare di bloccare la causa civile del gruppo franco-indiano intenzionato a recedere dal contratto d’affitto. In un quadro “di leale collaborazione con l’autorità giudiziaria e per il tempo ritenuto necessario allo sviluppo del contraddittorio tra le parti” arriva l’invito del giudice. Invito, non certo un provvedimento, “a non porre in essere ulteriori iniziative e condotte in ipotesi pregiudizievoli per la piena operatività e funzionalità degli impianti. Eventualmente differendo lo sviluppo delle operazioni già autonomamente prefigurate per il tempo necessario allo sviluppo del presente procedimento”. In questo senso l’invito è a non ridurre la produzione fino a quando non ci sarà la decisione del giudice.