Strage di Bologna, passaporti cileni falsi simili e stesso luogo di emissione

12 Ott 2019 19:02 - di Redazione
Fbi

Sono sei i passaporti falsi cileni che compongono lo stock di documenti contraffatti, tutti con caratteristiche molto simili – dai numeri seriali “vicini” al medesimo luogo di emissione – spuntati nelle indagini sulle stragi firmate dal terrorismo internazionale arabo e dal gruppo di Carlos lo Sciacallo eseguite dalle polizie di mezzo mondo, Italia compresa.

Uno di quei passaporti – l’Adnkronos lo ha raccontato nei giorni scorsi – viene usato a Bologna, nei giorni immediatamente precedenti l’attentato del 2 agosto. Quelloper cui sono stati condannati in via definitiva gli esponenti dei Nar. Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Il passaporto cileno falso viene utilizzato da una misteriosa donna che sembrerebbe non essere mai stata identificata.

La storia di altri due di quei passaporti cileni falsi, rivelata ancora dall’Adnkronos, riguarda due personaggi che, a metà degli anni ’70, si imbarcano su due voli Twa 841 con una bomba al seguito. Il primo volo arriva a destinazione per l’accidentale malfunzionamento dell’ordigno, il secondo, tredici giorni dopo, esplode sul Mar Ionio con 88 persone a bordo, tra cui tre italiani, lo steward Gianpaolo Molteni e le hostess Isabella Lucci-Masera e Angela Magnoni.

Due passaporti cileni falsi usati da Carlos Lo Sciacallo

Chi disponeva degli altri tre passaporti? Due sono utilizzati da Ilich Ramirez Sanchez, alias Carlos lo Sciacallo.
L’intelligence inglese scopre, a un certo punto, che Carlos sta usando un passaporto cileno falso con il numero di serie 035857 intestato a Hector Hugo Dupont. E avverte i colleghi dei Servizi segreti di Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia.
Con quello stesso numero di passaporto cileno falso, Carlos viene segnalato a Talcahuano, in Cile, nel 1970. Proprio mentre si sta recando ad un incontro a Hualpencillo con alcuni terroristi.

Il secondo passaporto falso di Carlos Lo Sciacallo rilasciato a Quillota

Ma non si tratta dell’unico passaporto cileno falso che lo Sciacallo esibisce. Ne utilizza un altro, numero 035848, a nome di Adolpho Bernal sul quale ha appiccicato la sua foto. Ufficialmente è un ingegnere. E il passaporto è stato rilasciato nella cittadina cilena di Quillota.
Un nome da non dimenticare, perché comparirà diverse altre volte in questa storia.

Il passaporto falso cileno intestato a Adolpho Bernal verrà scoperto in maniera rocambolesca nel 1975. Salterà fuori in un appartamento di Londra, dove Carlos, che riesce a sfuggire alla cattura, vive assieme alla basca Angela Otaola e al fidanzato di lei, il britannico Barry Woodhams.
Sarà quest’ultimo a scoprire, nascosta in casa, una borsa contenente armi, munizioni ed esplosivo – gelignite – appartenenti al terrorista. Così come i documenti falsi, il passaporto cileno falso. E una patente kuwatiana falsa. Siamo nel giugno 1975.

I passaporti cileni falsi, Archamides Doxi e Rita Porena

Due mesi prima, il 7 aprile 1975, un documento dell’Ispettorato per l’azione contro il terrorismo e gli Affari Riservati dello Stato italiano aveva rivelato che un altro passaporto cileno falsificato era spuntato in Svezia. Era nelle mani del terrorista giordano Michel Archamides Doxi, addestrato in un campo libanese del Fplp, il Fronte Popolare della Liberazione della Palestina.

«Un Servizio (segreto, ndr) amico – scrive l’Ispettorato antiterrorismo italiano nella nota custodita oggi negli archivi della Commissione parlamentare sulle stragi e il terrorismo – ci ha comunicato che il giordano Michel Archamides Doxi, nato a Gerusalemme il 20.4.1956, dimorante in Svezia, ha recentemente inoltrato alla Autorità di quella nazione una istanza per ottenere la concessione dell’asilo politico. Il medesimo era giunto prima in Danimarca, quindi in Svezia con un passaporto cileno contraffatto n 037972, rilasciato a Quillota il 5.12.1972 a nome di Eduardo Hernandez Torres».
Dunque l’ennesimo passaporto cileno falso. Come quelli esibiti da Carlos. Come quello spuntato a Bologna. Ancora rilasciato a Quillota.

Viaggio in Italia per portare armi ed esplosivi assieme a due donne

«Secondo le sue dichiarazioni – continua la nota dell’Ispettorato antiterrorismo italiano – nel gennaio 1973 (Doxi, ndr) sarebbe stato inviato in un campo libanese del Fplp per addestramento. E, in seguito, a Bari in compagnia di due giovani donne allo scopo di portare in Italia delle pistole e delle bombe a mano. Le stesse armi rinvenute poi indosso ai due sedicenti iraniani arrestati all’aeroporto di Fiumicino il 4 aprile 1973. Per questo viaggio in Italia – specifica la nota secondo le informazioni avute dal Servizio segreto collegato – avrebbe utilizzato un passaporto contraffatto dell’Honduras, rilasciato al nome di Tomas Gonzalo Perez. Nel maggio 1973, sarebbe stato inviato a Ginevra, dove una donna danese gli avrebbe consegnato una bomba per eseguire un attentato, non portato a termine, all’aeroporto di Lod», in Israele.

«Si suppone – ipotizza l’Ispettorato antiterrorismo italiano – che i guerriglieri palestinesi abbiano falsificato un certo numero di passaporti con le stesse caratteristiche al fine di utilizzarli per compiere azioni terroristiche».

Un altro passaporto cileno falso rilasciato a Quillota

Ma la questione non finisce qui. Perché la nota dell’Ispettorato italiano per l’azione contro il terrorismo e gli Affari Riservati si sofferma su un particolare di non poco conto in relazione al passaporto cileno falso di Michel Archamides Doxi.
«Il passaporto cileno ha il numero quasi identico ed identica località di rilascio di quello in possesso a Josè Mario Garcia Aveneda, responsabile dell’incendio avvenuto a bordo del velivolo Twa volo 841 del 26 agosto 1974».
Quale località di rilascio? Sempre Quillota.

A questo punto ad attirare l’attenzione è il viaggio in Italia del giordano Archamides Doxi.
Chi sono le donne che lo accompagnano quando sbarca dalla nave Ausonia a Bari?
«Una delle donne era una cittadina libanese di nome Maha Abu Halil. – scrivevano i Servizi segreti svedesi avvertendo l’Italia – L’altra era una cittadina italiana, della quale (Doxi, ndr) conosceva soltanto il primo nome: Rita. Al termine della missione, Rita restò in Italia, mentre Halil fece ritorno in Libano».

Così Rita si addestrava alla guerriglia con l’Fplp in Libano

Interrogato dai Servizi segreti svedese, Doxi rivela che ”Rita” avrebbe «preso parte ad un lungo corso d’istruzione alla guerriglia, tenuto dal FPLP nel Libano. E sarebbe stata utilizzata per il trasporto di armi ai diversi Paesi europei e in diverse occasioni».

Sulla turbonave Ausonia attraccata a Bari, quel giorno, rivelano i Servizi Segreti italiani, era imbarcata Rita Porena, la giornalista italiana amica del capocentro del Sismi a Beirut, Stefano Giovannone. Proprio la donna che, con una intervista ad Abu Ayad, uno dei capi dell’organizzazione palestinese Al Fatah, accusava gli ambienti di destra della strage alla stazione di Bologna.

«Secondo il Doxi – scrive nella sua relazione l’Ispettorato Generale per l’azione contro il terrorismo, datato 27 giugno 1975 – l’introduzione di armi dal Medio Oriente in Occidente viene solitamente affidata a donne. Esse sono ben vestite, alloggiano in ottimi alberghi, sono in possesso di molto denaro. E viaggiano con passaporti sudamericani o italiani».

A questo punto la domanda è lecita: chi era dunque quella donna che, nascosta dietro il passaporto cileno falso numero 30435 intestato a Juanita Jaramillo – uno dei tanti passaporti cileni falsi, come si è visto, utilizzati dai terroristi arabi e da quelli del gruppo Carlos – alloggiava il giorno della strage all’Hotel Milano di Bologna proprio di fronte alla stazione?

«La calendarizzazione della proposta di legge sull’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulle connessioni del terrorismo interno e internazionale con la strage di Bologna del 2 agosto 1980 e sulle attività svolte da Servizi segreti nazionali e stranieri è urgente e necessaria», affermano i parlamentari componenti dell’Intergruppo ”2 agosto. La verità oltre il segreto sulla strage di Bologna” Federico Mollicone, Paola Frassinetti, Isabella Rauti, Galeazzo Bignami.

«A fronte delle nuove evidenze emerse, la presidenza della Camera garantisca l’arrivo in Aula il più presto possibile – dicono i parlamentari di Fdi – Lo dobbiamo alle vittime e ai loro familiari. La vicenda del passaporto cileno falso rinvenuto a Bologna, nello stile operativo della rete Separat di Carlos, così da molti movimenti palestinesi – spiegano – contrasta fortemente con la tesi processuale acclarata. In particolare, due dei passaporti di cui parlano i documenti erano utilizzati da Carlos stesso nei suoi spostamenti. Un report dell’Ispettorato, inoltre, ipotizza che i guerriglieri palestinesi avessero adottato questo sistema. Evidenze che rendono sempre più solida la tesi, già sostenuta da numerosi parlamentari che hanno avuto modo di visionare i documenti di quegli anni, ora secretati, della correlazione fra la rottura del lodo Moro con l’arresto di Abu Saleh e la bomba a Bologna»

«I Servizi italiani, come dimostrano i documenti dello scoop di Adnkronos, con Russomanno erano già a conoscenza dal 1976 delle attività della rete Separat, dei passaporti cileni in circolazione e del coinvolgimento di Rita Porena, legata al capocentro Sismi Stefano Giovannone. Il premier Giuseppe Conte desecreti gli atti in merito e li renda acquisibili dalla difesa nel processo Cavallini, ora in corso».

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