Strage di Bologna, nei documenti Fbi i passaporti cileni falsi portano ai campi palestinesi del Libano

27 Ott 2019 12:10 - di Redazione
Fbi

Il soprannome arabo era “Saffah”, “il macellaio” ma il suo vero nome, secondo l’Fbi, era, secondo l’Organizzazione giovanile per la Liberazione della Palestina, Ahmed Kalim Qassim. E nascosto dietro la finta identità di Eduardo Mario Jose Santo, sventolando quel falso passaporto cileno n. 18473, sarebbe stato proprio quel sedicenne nato e cresciuto nello Shatila Camp, il quartiere a ridosso di Beirut, a portare a bordo del volo Twa841 dell’8 settembre 1974 l’ordigno che uccise 88 persone. Otto erano italiani. Tre dei quali assistenti di volo, due hostess e uno steward. Erano imbarcati sul velivolo statunitense che viaggiava sulla rotta Tel-Aviv-Atene-Roma-New York. E che precipitò nel Mar Ionio.

La documentazione dell’Fbi in possesso dell’Adnkronos aggiunge ulteriori particolari sulla vicenda dei due attentati gemelli contro i voli Twa841 che passavano per Roma. Attentati molto simili all’attentato di Ustica. Il primo attentato, il 26 agosto 1974, fallì per un fortuito malfunzionamento dell’ordigno. Il secondo attentato riuscito, l’8 settembre 1974, tredici giorni dopo. Entrambi legati alla strage di Bologna da uno stock di passaporti cileni falsi.

L’azione terroristica, spiega l’Fbi nella sua documentazione, era da inquadrare nella cosiddetta “Operazione Jarmaq” (o Jarmak). Così era soprannominata la catena di attentati che si susseguirono in quegli anni anche in Italia dal nome di un villaggio nel distretto di Jezzine, nel sud del Libano. Ad un’ottantina di chilometri da Beirut. E a ridosso dei confini israeliani e siriani.

Il 13 ottobre 1974 il giornale in lingua araba “An-Nahar”, annota l’Fbi nello scambio di comunicazioni con i suoi uffici consolari sparsi per il mondo, pubblica nell’edizione di Beirut un articolo contenente anche una fotografia che identifica Ahmed Khalim Qassim.

L’articolo di “An-Nahar” rivela che “l’Organizzazione della Gioventù Araba per la Liberazione della Palestina ha distribuito una dichiarazione che conteneva i dettagli della “Operazione Jarmaq”. E, in particolare, l’esplosione dell’aereo americano Twa dell’8 settembre”.

“La dichiarazione dice – continua l’articolo pubblicato dal quotidiano arabo “An-Nahar” e ottenuto dall’Fbi – che il giovane che ha effettuato l’attentato si chiama Ahmed Kamil Qassim. Soprannominato “Saffah” cioè “Il macellaio”. Un sedicenne che aveva un passaporto con lo pseudonimo di Eduardo Mario Jose Santo. Egli è nato e vive allo Chatila Camp”.

“Da notare – aggiunge il Federal Bureau of Investigation nel suo telex inviato per conoscenza agli uffici Fbi delle ambasciate di Beirut, Buenos Aires, Londra, Madrid, Roma, Parigi, Tel Aviv e Tokyo – che la traduzione dall’arabo all’inglese del nome Qassim è Kassem”.

La fotografia di Santo alias Qassim, presa dal giornale “An-Nahar”, è stata mostrata dall’Fbi sia a due dipendenti della Twa di Atene sia a due dipendenti del King Minos Hotel, dove Santo alloggiò fino al giorno dell’attentato. Ma nessuno dei quattro ha riconosciuto in quella foto il sedicente Eduardo Jose Santo.

La descrizione che ne viene fatta all’Fbi di Eduardo Jose Santo da chi l’ha visto durante le procedure di imbarco l’8 settembre 1974 mentre porta in mano una piccola borsa e uno zaino da campeggio è quella di “un 18enne alto circa 1 metro e 65, con un viso rotondo e pulito. Capelli castani con un taglio corto e riccio. Carnagione chiara. Amichevole nei modi. E vestito con indumenti di buona qualità”.

L’addetto al check in lo descrive agli investigatori dell’Fbi come un passeggero con il viso da bambino. Vestito con pantaloni e una camicia rossastra. Cortese nei modi: nell’attesa offriva sigarette ai passeggeri del volo Twa841. L’ultima sigaretta prima della condanna a morte.

Apparentemente l’indagine sembra arenarsi.
Ma l’Fbi approfondisce i controlli su tutte le persone che hanno alloggiato all’hotel King Minos di Atene in quei giorni.

Per acquistare i biglietti del volo con il suo passaporto cileno falso, Eduardo Jose Santo ha dato come residenza l’indirizzo dell’hotel King Minos.

Gli investigatori dell’Agenzia di intelligence statunitense scoprono, così, che due studenti con passaporto kuwaitiano contraffatto sono arrivati il 5 settembre 1974. E sono ripartiti l’8 settembre. Si sono registrati nell’albergo, uno dopo l’altro, con due numeri progressivi: 28742 e 28743.

Dunque Ahmed Khalim Qassim alias Jose Santo aveva un complice. Ed entrambi hanno dissimultato le proprie identità utilizzando anche passaporti kuwaitiani falsi.

Gli uffici immigrazione greci, tuttavia, non sembrano avere registrazioni di uscita ed entrata dal territorio con quei passaporti.
Ma un controllo successivo accerterà che gli indiziati sono partiti da Beirut. E li sono tornati. Uno ha lasciato la mattina dell’8 settembre il King Minos Hotel di Atene. Il secondo è ripartito il pomeriggio dell’8 con il volo Middle East 252.

La tecnica utilizzata per sfuggire ai controlli anche successivi dell’Fbi era quella di utilizzare stock di passaporti falsificati. Hanno adoperato un documento contraffatto per acquistare i biglietti aerei ed entrare nei Paesi. Un altro documento, sempre contraffatto ma diverso, per registrarsi negli alberghi. Un altro ancora per uscire dai Paesi.

La questione della cosiddetta ”Operazione Jarmaq”, però, non finisce né inizia con gli attentati gemelli ai due aerei dei voli Twa841 che facevano rotta su Roma, attentati che sono, invece, parte centrale di un piano terroristico molto più ampio e articolato.

Il 16 settembre 1974 – otto giorni dopo che il volo Twa841 precipita nello Ionio uccidendo 88 persone – un altro ordigno esplode all’interno di una valigia nel deposito bagagli del Logan International Airport di Boston.

La valigia doveva essere imbarcata anch’essa su un volo Twa diretto in Medio Oriente, lungo una rotta che includeva anche Israele. Ma gli addetti non hanno imbarcato il bagaglio perché non c’era il passeggero al cui nome era intestata la valigia.

L’ordigno di questo incidente – rivela l’Fbi nei suoi report – è molto simile a quello scoperto lo scorso anno (dunque nel 1973, ndr) al Port Authority Bus Terminal e anche all’interno di un deposito bagagli del Jfk Airport”.

“Il 18 settembre 1974”, rivela ancora l’Fbi, una persona il cui nome è coperto da omissis, “preleva dall’Eastern Airlines Baggage Department, il deposito bagagli dell’aeroporto nazionale di Washington, ad Arlington, in Virginia, un pacco che ha il numero di bagaglio Eastern Express 93-31-14 e la cui dimensione era approssimativamente 4-5 centimetri. Il pacchetto era avvolto con il nastro bagagli della compagnia aerea orientale. La sicurezza Twa dell’aeroporto Jfk lo ha consegnato all’Fbi di Washington. Che lo ha dato, poi, in custodia, all’Unità esplosivi dei laboratori Fbi”.

“La notte fra il 6 e il 7 marzo del 1973 – rileva ancora l’Fbi collegando, nei documenti segreti e ora declassificati, i diversi attentati ai voli Twa841 e alla cosiddetta “Operazione Jarmaq” – due auto noleggiate, parcheggiate illegalmente e contenenti ordigni esplosivi, oltre a copie di un libro dell’organizzazione Settembre Nero, vengono ritrovate dalla polizia di New York, una fra la 42esima strada e la Quinta Avenue, accanto all’Israel Discount Bank, l’altra fra la 47esima strada e la Quinta Avenue, accanto alla First Israel Bank and Trust Company”.

Gli ordigni, specificano gli investigatori, sono identici fra loro e simili a una terza bomba. Trovata anch’essa in un’auto a noleggio parcheggiata all’aeroporto di New York. Accanto a un edificio della El Al.

Sono costruiti con esplosivo al plastico di provenienza straniera, 3 contenitori con 60 litri di benzina, una bombola da 10 chili di gas propano, una batteria da 9 volt. E un detonatore elettrico attivato da un congegno a tempo.

Le successive indagini dell’Fbi ricostruiranno i movimenti degli attentatori.
E, nel report, sembra di leggere, in anticipo di ben 38 anni, la preparazione degli attentati dell’11 settembre 2011.

Uno degli attentatori arriva da Beirut negli Stati Uniti a bordo di un volo Delta 625 esibendo un passaporto iracheno. E alloggia, fra l’altro, allo Sheraton Motor Inn di New York e al Mayflower nel New Jersey dopo un giro fra Pittsburg e Washington. Prenota alcune lezioni di volo al Teterboro Airport. Salvo poi disdirle perché, sostiene, non gli hanno rinnovato il visto. Rinnovo che, tuttavia, l’attentatore non ha mai richiesto.

Nella stanza del Mayflower, l’Fbi ritroverà, i resti dei materiali. Compreso il nastro adesivo, che l’uomo ha acquistato. Assieme alla pila per costruire gli ordigni.

Un altro complice si occuperà di acquistare la benzina ritrovata nelle auto assieme all’esplosivo.
L’indagine condotta dall’Fbi ricostruisce in maniera dettagliata tutta la preparazione degli attentati.
I tentativi dei terroristi di noleggiare le tre auto utilizzando, fra l’altro, un passaporto giordano.
I residui di esplosivo al plastico e la lancetta delle ore degli orologi utilizzati per attivare gli ordigni vengono trovati nella stanza del Mayflower.
Identiche le impronte digitali identificate dal Latent Fingerprint Laborator dell’Fbi sugli oggetti nella stanza del Mayflower e dello Sheraton, sulle auto noleggiate, sui documenti della scuola di volo del Teterboro Airport, nella carta di registrazione all’Holland Hotel.

I successivi accertamenti dell’Fbi ricostruiscono il viaggio di uno degli attentatori. Riparte da New York il 4 marzo 1973 con un volo Air France per Parigi. E, da lì, vola a Roma il 6 marzo. Prima di tornare in Libano e, quindi, in Siria.
Ancora l’Italia, dunque, crocevia del terrorismo internazionale e palestinese. Protetto dal comodo ombrello del Lodo Moro appena siglato.

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