Strage di Bologna, la pista dei passaporti falsi: spuntano anche negli attentati aerei del ’74
Non un fatto isolato, ma un filo rosso che collega diverse stragi compiute tra gli anni ’70 e ’80. Il passaporto cileno falso con il nome di Juanita Jaramillo, utilizzato da una donna per registrarsi all’Hotel Milano di Bologna alla vigilia della strage del 2 agosto ’80, appartiene a uno stock di passaporti cileni falsi che fanno la loro comparsa in diversi episodi terroristici finora apparentemente slegati fra loro. Si va dalla strage di Bologna al superterrorista Carlos Lo Sciacallo che, in pieni anni ’70, per sfuggire ai servizi segreti di mezzo mondo, sfodera non uno ma ben due passaporti cileni contraffatti, beffando diversi Paesi fra cui l’Italia. Si arriva poi ai due attentati aerei ”gemelli” compiuti a metà degli anni ’70 contro due voli Twa 841 che facevano scalo a Roma: il primo fallito per l’accidentale malfunzionamento dell’ordigno; il secondo, a distanza di tredici giorni, riuscito.
L’attentato al volo Twa 841
Era l’8 settembre 1974 e quel volo, decollato da Tel Aviv con destinazione New York, esplose per una bomba. A bordo c’erano 79 passeggeri, tra cui tre italiani (lo steward Gianpaolo Molteni e le hostess Isabella Lucci-Masera e Angela Magnoni), e 9 membri dell’equipaggio. Ma c’era anche un passeggero con passaporto cileno falso. Il nome sul documento era Eduardo Josè Santo. L’uomo scese a Roma, dopo essersi imbarcato ad Atene. A rivalere la sconcertante circostanza è stata l’Adnkronos, entrata in possesso di documentazione dell’Fbi e del Dipartimento di Giustizia americano grazie al Freedom of Information Act. E sono state sempre fonti confidenziali dell’Fbi a identificare il presunto Eduardo Josè Santo come un terrorista dei gruppi palestinesi.
L’attentato fallito 13 giorni prima
Un uomo con passaporto cileno, il sedicente Josè Mario Aveneda Garcia, era a bordo dello stesso volo anche 13 giorni prima, il 26 agosto 1974. Era il giorno dell’attentato fallito. Durante il taxing sulla pista di Fiumicino, un filo di fumo proveniente dal compartimento bagagli attirò l’attenzione del personale. I tecnici aprirono la stiva dell’aereo e scoprirono che il fumo proveniva da un radioregistratore a batterie marca Aiwa contenuto all’interno di un bagaglio completamente bruciato. I tecnici dell’aeroporto pensarono si trattasse di un cortocircuito. Così il bagaglio con tutta la radio venne rimosso e venne rintracciato il proprietario. Dopo alcune formalità, l’uomo fu lasciato andare. Il radioregistratore e la valigia furono trattenuti per scrupolo e, il 18 settembre 1974, spediti negli Stati Uniti ai laboratori dell’Fbi. Qualche tempo dopo arrivò la risposta: i tecnici dei laboratori avevano trovato piccole particelle di C4, un esplosivo militare ad alto potenziale, all’interno della valigia.
Un uomo, due passaporti cileni falsi
Le indagini avviate dall’Fbi su quell’ordigno inesploso portarono a Josè Mario Aveneda Garcia. L’uomo, del quale poi gli investigatori ricostruirono i movimenti dei giorni precedenti il fallito attentato, però si era dileguato. L’unica traccia che rimaneva era il suo passaporto: un passaporto cileno falsificato, rilasciato a Quillota. Poi vi fu l’attentato riuscito. E le indagini dell’Fbi, del Rarde britannico e dell’Ntsb, il National Trasportation Safety Board, dal quale Adnkronos ha ricevuto copia della documentazione originale grazie al Foia, non lasciano spazio a dubbi. «La probabile causa dell’incidente è stata la detonazione di un ordigno esplosivo all’interno del vano portabagagli di poppa del velivolo». Dalle indagini successive emerse che i due presunti cileni dei due voli Twa 841 si erano mossi allo stesso modo.
Ustica, la strage di Bologna e le minacce del Fplp
Una fonte confidenziale ha rivelato all’Fbi che Eduardo Josè Santo aveva con sé solo uno zaino blu. Lì dentro c’era la bomba che uccise 88 persone compresi i tre italiani. Una storia che riporta a un’altra misteriosa strage sui cieli d’Italia: quella di Ustica del 27 giugno 1980, un mese prima la bomba alla stazione di Bologna. Le allarmanti segnalazioni dei nostri servizi segreti a Beirut dell’epoca, nella persona del colonnello Giovannone circa le minacce di immediate ritorsioni (anche «in danno di cittadini innocenti») da parte dei palestinesi dell’Fplp, che volevano fosse liberato il capo dell’Fplp arrestato a Bologna, si fermano al giorno della tragedia del Dc9 Itavia. Questo almeno stando a quanto denunciato pubblicamente il primo agosto dal senatore Carlo Giovanardi che quelle carte con «verità ecltatanti», al pari di altri parlamentari presenti, le ha lette ma non può renderle pubbliche perché – dopo quasi 40 anni – sono ancora coperte dal segreto.
(In foto uno dei documenti ottenuti dall’Adnkronos)