Nella maggioranza è l’ora del “si salvi chi può”. Zingaretti scarica Conte: «Non è del Pd»

29 Ott 2019 13:21 - di Michele Pezza
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Non ce la fa la maggioranza giallo-rossa ad archiviare il voto umbro alla voce “elezioni regionali”. Troppo severa la batosta ricevuta e troppo enfatica l’elevazione della consultazione a laboratorio politico per poterla ora derubricare a pratica minore. I suoi esponenti lo sanno. Anzi, hanno il fiato corto di chi si aspetta da un momento all’altro lo scacco matto finale. Se si presenteranno ancora insieme alle prossime regionali, il M5S continuerà a dissanguarsi. Se andranno separati, non saranno competitivi nei confronti del centrodestra ricompattato. Morale: perdono in ogni caso. Scacco matto, appunto.

Nella maggioranza tutti contro tutti

E questo è sufficiente a spiegare il nervosismo che serpeggia dalle parti del Pd e al quale dà voce lo stesso leader, Nicola Zingaretti: «Ci hanno spiegato che Conte era il candidato del M5s, tutti partiti hanno detto di accettarlo, bisogna fare di tutto perchè il governo funzioni», recrimina il segretario. Mancava solo che dicesse che lui alla premiership di Conte e all’alleanza con il M5S vi è stato semplicemente costretto. Ma ci va vicino: «Conte – dice a Sky24 – non era il candidato presidente del Pd e non ha un asse privilegiato con il Pd». Parole che non regalano certo sogni d’oro al premier. Anzi, ne sottolineano l’isolamento all’interno della sua strampalata maggioranza. I Cinquestelle, da cui proviene, da tempo lo lisciano ormai soltanto contropelo. Per questo si era appoggiato al Pd con la prospettiva di scippare a un Di Maio in grande crisi i malpancisti e farne dei pretoriani al suo esclusivo servizio.

Il ruolo di Mattarella

Ma l’Umbria rischia ora di far precipitare tutto. E la maggioranza è a rischio. Per il voto di domenica, ma soprattutto per l’effetto indotto dal taglio del numero dei parlamentari. Con i voti dimezzati e gli spazi ridotti, le speranze di rielezione per oltre la metà dei Cinquestelle resta il sogno di una notte di mezzo autunno. Un Parlamento che si riducesse a Vietnam, con gruppi che si formano e si sfarinano solo per tenere in vita la legislatura, finirebbe per complicare la vita anche a Mattarella. La tesi che in una democrazia parlamentare contano tutti i giorni solo gli onorevoli e il popolo solo ogni cinque anni ha molti limiti. Specie se chi governa, il popolo, lo perde ad ogni elezione.

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