Governo col fiato sospeso. Tra Pd e Di Maio si rinfacciano di tutto

28 Ago 2019 6:00 - di Francesco Storace

Meno male che Giggino c’è. Alla fine della serata che preludeva all’accordo di governo, Di Maio ha lanciato la bomba. L’intesa dovrà essere approvata dalla piattaforma Rousseau, che Zingaretti aveva invece chiesto di non coinvolgere. E lui – il capo pentastellato – non ci sta ad essere escluso dal ruolo di vicepremier. Il Pd, a mezzanotte, lancia l’allarme: “Salta tutto”. Il popolo gode.

Eppure era felice la scorta di governo, il partito democratico. L’aiutino americano venuto da Trump era servito. In un paese che rimane a sovranità limitata basta il voto di uno che manco è nostro elettore per legittimare il Conte-bis. Come se fossimo la cinquantunesima stella del firmamento a stelle e strisce.

Trump si dice contento se Conte rimane. E pure la Merkel e Macron sicuramente, e qualcosa vorrà poter dire se il potere globale esulta per il trasformismo alla guida dell’Italia. Per far quadrare i conti arriverà la patrimoniale; tanto a The Donald frega poco perché lui ha la Flat tax. Spalancheremo i porti per la gioia dell’Europa. E ovviamente serviremo a modo tutte le esigenze di Bruxelles. Maggiordomi in livrea rossa.

Per Zingaretti la regione è più importante del governo

Mattarella, chiamato oggi a mettere il suggello quirinalizio al governo degli sconfitti se la finiscono di frignare, rischia di veder scoppiare la rissa sotto al Colle prima dell’ingresso delle delegazioni rabbiose della nuova maggioranza. Si sono presi a pedate fino all’ultimo momento, sapendo che codardi come sono erano obbligati all’accordo. E ognuno alzava il prezzo.

Stasera sapremo se questa robaccia regge almeno fino al giuramento al Quirinale, col presidente reincaricato Conte e il suo sostanziale megarimpasto, con il Pd al posto della Lega. Zingaretti è stato trascinato all’accordo che diceva di non volere, si dimena come un ossesso per evitare di entrare nell’esecutivo perché evidentemente considera più importante la guida della regione Lazio. Il che fa intuire quanto creda nella durata del governaccio che si apprestano a varare. Poi, solo poi, incredibilmente toccherà alla piattaforma Rousseau stabilire se i Cinquestelle devono stare al governo…

Dicono che vogliono parlare di programmi – e Dio ce ne scampi e liberi – ma si sono scannati in modo inverecondo sui posti. Raccontano di uno Zingaretti livido in volto, che ha dovuto ingoiare Conte e resistere fino all’inverosimile per fargli togliere dalla testa di fare ancora il vicepresidente del Consiglio. Il segretario del Pd, pratico come pochi di lottizzazione, ha preteso di piazzare i suoi nomi senza discussione alcuna. Già si è dovuto svenare il sangue per questo governo, figurarsi se poteva vomitare ancora.

Il furore popolare dovrà sommergerli

Stasera – a meno di ulteriori e nuovi intoppi – vorrebbero partire. Settimane? Mesi? Un governo che nasce nella maniera convulsa e confusa che abbiamo registrato dura poco. Anche perché a differenza di quello che si era pomposamente definito del cambiamento, non ha dalla sua neppure l’entusiasmo popolare, limitando i gridolini di giubilo solo alla fine della permanenza di Salvini al Viminale. Si accontentano di poco, e non si rendono conto del furore popolare che li sommergerà.

E a questo proposito è ora che chi vuole fare l’opposizione a quello che appare come un vero e proprio saccheggio di democrazia, cali finalmente le carte. Non ha alcun senso blablare di democrazia parlamentare, perché anche la rappresentatività delle Camere non può ignorare gli orientamenti popolare che si misurano ad ogni elezione e persino ad ogni sondaggio. Il centrodestra, prima coalizione alle politiche, è saldamente primo nel Paese. Anche se al Colle e in Parlamento sembrano ignorarlo.

Esigiamo che non si abbia timore della piazza. A parte il coraggio coerente di Giorgia Meloni, in troppi farfugliano sulla protesta da organizzare nel Paese. Ma se non ci si mobilita, questi signori non ce li leviamo più di torno. Invece, se davvero partono, dobbiamo farli durare pochissimo.

Commenti

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  • maurizio pinna 28 Agosto 2019

    Il vecchio democristiano che esorcizzava la svolta di Salerno è stato patetico, crede che la gente accetti la sua boutada e magari gli dica anche bravo. Salerno fu il primo compromesso politico della Storia italiana del dopoguerra, un’ammucchiata in cui i partiti che avevano fatto il Risorgimento, come la destra storica, erano tenuti fuori o ridotti al quasi nulla, fu il segnale di tromba dei compagni, per significare che adesso c’erano loro a dare le carte, naturalmente TUTTO con la benedizione degli Alleati, del clero volpino e degli industriali, COME OGGI, allora Bonomi, oggi il conte. 75 anni buttati letteralmente al vento, per installare un governo che farà come sempre i suoi comodi, complice un nugolo di sprovveduti. Dopo 75 anni di Bonomi non si ricorda più nessuno, o quasi, i compagni purtroppo si.

  • federico 28 Agosto 2019

    Il Governo M5S-PD certamente si farà, perché i parlamentari dei due partiti non vogliono andarsene a casa e perché i poteri forti e fortissimi parteggiano da sempre per questi due partiti. Poi ci si mette anche Salvini con dichiarazioni ed azioni sconsiderate (la sfiducia a Conte che aveva appena detto sì alla TAV), per non parlare di Bagnai&Borghi. Mattarella ha chiesto di avere entro oggi il nome del futuro Presidente del Consiglio: ecco, l’ha fatto Trump.