Ci mancava pure il rapper Rocco Hunt: marijuana libera se mi fate comandare

26 Ago 2019 13:51 - di Redazione

Ci mancava pure Rocco Hunt. Lavoro per tutti e legalizzazione della marijuana. È questo il programma dell’ultimo candidato alla presidenza del Consiglio, il rapper, in una sorta di effetto ottico causato della sovrapposizione tra la fase politica e i contenuti del brano che da’ il titolo al suo nuovo album, Libertà. Nel brano, in napoletano come il resto del disco, il 24enne salernitano critica l’attuale situazione sociale dicendo che in realtà siamo Schiav legalizzat (schiavi legalizzati), lamenta l’invadenza dei politici in tv affermando Stut’ a television nun voglio senti chiù monologhi (spengo la televisione non voglio più sentire monologhi), lancia un grido di ribellione contro l’attuale classe dirigente con le parole Ann a capì ca nuje nun simm pecore dint’ o recinto (devono capire che noi non siamo pecore dentro il recinto) e promette: Si fann a me presidente, dess a fatic a tutt quant / Pe seconda cosa ossaje legalizzass sta piant (se facessero me presidente, darei il lavoro a tutti / per seconda cosa sai legalizzerei questa pianta).

Sorride Rocco Pagliarulo, questo il vero nome del rapper, vincitore a Sanremo 2014 nella sezione “Nuove proposte” quando gli si fa notare il corto circuito di questi versi con l’attualità e spiega all’Adnkronos: «Critico la realtà politica ma anche di più le istituzioni, noto che la libertà che abbiamo non è poi tanto libera e sottolineo la piaga del lavoro che non c’è, soprattutto al sud. Faccio promesse secondo lo stereotipo classico del politicante, promesse che non si possono mantenere: il lavoro a tutti?! La legalizzazione della marijuana poi in Italia non ci sarà mai. C’è tanta ironia».

Alla pubblicazione del nuovo album di inediti, con tante collaborazioni come quelle con Achille Lauro, Clementino, Boomdabash, J-Ax , Neffa, Geolier, disponibile dal 30 agosto, Rocco Hunt è arrivato dopo quello che è sembrato un momento di sbandamento: ai suoi primi tre album, Poeta urbano (2013), ‘A verità (2014) e SignorHunt (2015) sono seguiti diversi singoli ma soprattutto una lunga e travagliata gestazione di Libertà che poche settimane fa, a luglio, è sembrata interrompersi bruscamente quando l’artista ha annunciato su Instagram di voler mollare tutto, di volersi ritirare.

«Ho lavorato a quest’album per tre anni e per indecisioni mie, pressioni esterne e altre cose a un certo punto mi è sembrato che non si potesse più fare e sono sbottato, ho reagito maniera impulsiva allo stress, credo di aver usato la rete per far capire a tutti che c’erano dei problemi. In quel momento l’album in realtà era già chiuso ma pareva che potesse essere rimandato per l’ennesima volta: io non ho retto e ho fatto questa ragazzata», spiega Rocco Hunt e ammette subite che in realtà non voleva e comunque non saprebbe cosa fare di diverso dalla musica: «Un altro mestiere? No, in realtà non ho proprio pensato a un’alternativa, è stata un’uscita di getto. La sola cosa che so e che voglio fare è la musica».

E la musica di Rocco adesso si chiama Libertà: «Per me la libertà di poter cantare quello che voglio, descrivere le situazioni nella maniera più libera possibile, portare la carica di chi come me ha avuto anche un riscatto sociale venendo dal niente», risponde e sottolinea poi l’uso della lingua napoletana come orgogliosa scelta identitaria, anche questa consentita dalla notorietà raggiunta: «È anche un modo di dire che questo è il mio mondo e io non me ne vado. Per emergere nella musica come altrove se sei un ragazzo del sud devi vincere due volte e quando vinci non ti devi dimenticare il mondo cui appartieni. Quindi la mia libertà più grande è proprio fare un album in napoletano, poter esprimere quello che sento come lo sento».

Nel disco diversi i riferimenti al suo essere padre e al suo essere figlio, alla famiglia agli affetti, agli amici, con passaggi nettamente intimisti: «La famiglia per me in questi ultimi anni è diventata sempre più importante, quando cominci a trovarti intorno gente che non ti vuole bene davvero, che non ti sta vicino per quello che sei ma per quello che rappresenti, allora bisogna appoggiarsi alla famiglia, agli amici che c’erano prima».

Una riflessione matura per un artista che compirà di 25 anni a novembre, capace di fare ironia anche sul se stesso di pochissimi anni fa quando canta E nun me serv a cullana machine gross e denar (e non mi servono la collana, automobili grosse e denaro), un verso in cui, spiega, «sfotto me stesso che per un po’ di tempo ho avuto sia la collana d’oro sia la macchina grossa, al limite tra ostentazione e rivalsa sociale, poi ho capito che non è quello che conta, e anche che è più facile parcheggiare una macchina macchina piccola».

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