Morto a Roma il regista Ugo Gregoretti, cineasta incompreso dai colleghi spocchiosi

5 Lug 2019 17:30 - di Antonio Pannullo

È scomparso oggi a Roma il regista e attore, nonché giornalista e drammaturgo, Ugo Gregoretti. Era nato il 28 settembre 1930 sempre a Roma. Gregoretti nella sua carriera ha spaziato da cinema a tv, anche come attore,con incursioni nella letteratura. Intelligente, ironico, composto, è stato anche uno che non si è mai autocelebrato, a differenza di tanti suoi colleghi. Visse fino all’età di 14 a Roma poi si trasferì con la famiglia a Napoli, città – come disse lui – affasciannte e misteriosa. Non riuscì a laurearsi, pur avendo cambiato tre facoltà, e allora il comandante Achille Lauro, sindaco della città nonché proprietario del prestigioso Roma di Napoli, buon amico del papà ufficiale di Marina, lo spedì a Milano dove aveva fondato un piccolo giornale, La Patria. Poi, nel 1953, passò alla Rai, dove riuscì a girare un documentario sulla Sicilia del Gattopardo, vincendo anche un premio.

‘attività cinematografica, vero obiettivo di Gregoretti, non decollava ancora, così lui non si vergognò di fare pubblicità, caroselli e quant’altro, cosa della quale i registi impegnati di vergognavano di fare, pur facendola. Gregoretti no, sincero sino alla fine, pragmatico, concreto, seguì la sua strada. All’inizio degli anni Sessanta la svolta, girò il film-documentario sui giovani I nuovi angeli, che attirò l’attenzione di Rossellini, che lo volle presentare al Festival di Cannes. Realizzò altri film, ma sempre osteggiato dalla critica e soprattutto dai suoi colleghi cineasti, che ritenevano che uno che proveniva dalla tv non poteva fare vero cinema. Sbagiavano, perché Gregoretti fu uno sempre attento alla realtà, alla società e ai suoi mutamenti. Così, piuttosto amareggiato, come raccontò in una lunga intervista a Repubblica qualche anno fa, tornò alla tv, dove realizzò lo sceneggiato Circolo Pickwick che, se criticato in Italia fu però elogiato nientemeno che dal Time. Nella stessa intervista ricordò anche la sua grand eintesa personale e professionale con Nanni Loy, altro esploratore pioniere della tv. Negli anni Settanta arrivarono i successi tv delle Tigri di Mompracem e La conquista dell’Impero, fino alla miniserie Arrivano i mostri e al documentario Vietnam scene del dopoguerra. Intanto si era iscritto, piuttosto inspiegabilmente dato che non aveva il tipo dell’estremista ma piuttosto del liberale, al Partito Comunista, e anche dopo rimase nell’area della sinistra, che allora come oggi egemonizzava la cultura italiana, soprattutto nel cinema e nella tv. Degli anni Novanta ricordiamo il Maggio musicale e la miniserie tv Il Conte di Montecristo e, nel 2011, il documentario drammatico Scossa, dove Gregoretti realizzò l’episodio Lungo le rive della morte.

Dal 1980 al 1989 poi ha diretto la Rassegna Benevento Città-Spettacolo, e dal 1985 al 1989 il Teatro Stabile di Torino, si è anche misurato con la lirica mettendo in scena tra l’altro un’edizione di L’italiana in Algeri di Rossini nel 1976. Nel 1988, invece, ha messo in scena Purgatorio 98, una versione rivisitata del Purgatorio di Dante, nella quale sono presenti elementi di contaminazione come l’uso del dialetto napoletano. Si cimentò, come detto, anche come attore in numerosi e popolari film: Amore mio aiutami e Il comune senso del pudore, diretti da Alberto Sordi, Un povero ricco, di Pasquale Festa Campanile, e, nel 2014, Buoni a nulla, di Gianni Di Gregorio. Ci ha lasciato anche quattro libri: Le tigri di Mompracem. Una serata con Emilio Salgari, del 1974, La storia sono io (con finale aperto), del 2012, Scritti scostumati per uno zibaldone gregorettiano, sempre del 2012, e Pinocchio (mal) visto dal Gatto e la Volpe, con Andrea Camilleri, del 2016. Nel 2009 ha ricevuto il premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi, in quanto “giornalista, autore teatrale e televisivo, regista, attore, sempre uomo d’alto impegno intellettuale e civile”. Tra gli altri riconoscimenti, nel 2010 Gregoretti ha ricevuto il Nastro d’argento alla carriera. Gregoretti, in definitiva, fu un cineasta incompreso dai suoi colleghi: i suoi lavori furono di tipo documentaristico e sociale, forse troppo aventi per l’Italia di quegli anni.

 

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