Marò, via all’udienza finale di fronte alla Corte dell’Aja: 7 anni di battaglie con l’India

8 Lug 2019 14:29 - di Redazione
I due marò italiani Girone e Latorre

Parte all’Aja, di fronte alla Permanent Court of Arbitration, la Corte arbitrale permanente, l’udienza internazionale finale sulla vicenda dei marò italiani che vede contrapposto il nostro Paese all’India e che riguarda il caso della “Enrica Lexie”, la nave su cui erano imbarcati i due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori indiani il 15 febbraio 2012 al largo della costa del Kerala, nel sud dell’India, durante una missione antipirateria a protezione del mercantile italiano..
Un arbitrato che dovrà stabilire sia la competenza del Tribunale arbitrale che il merito delle argomentazioni di parte italiana e delle controargomentazioni di parte indiana.

L’udienza si aprirà con una breve dichiarazione di apertura dei rappresentanti delle due parti.

«Nel corso di questa procedura arbitrale attivata in origine dal governo Monti e, solo dopo numerose mobilitazioni pubbliche, rilanciata dal governo Renzi, si sono accumulati troppi ritardi, specie dopo la dissennata decisione, presa all’epoca, di rimandare i marò in India», dice all’Adnkronos Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri nel governo Monti e oggi membro dell’ufficio di presidenza di Fratelli d’Italia.
Terzi si dimise da ministro degli Esteri del governo Monti proprio in dissenso per la linea adottata dall’esecutivo sulla vicenda dei marò rimandandoli in India.«La decisione – ricorda ora Terzi – è in qualche modo procedurale, perché attiene alla risposta da dare sulla competenza a giudicare nel caso, se sia dell’India o dell’Italia. E dubito che ci sia un giurista disposto a negare che la giurisdizione sia italiana, a meno, naturalmente, che non si tratti di un giurista indiano».Terzi sottolinea che, in base agli stessi documenti prodotti da parte indiana, si rileva «che la localizzazione della “Enrica Lexie” era ben più lontana dalle acque territoriali indiane rispetto a quella indicata in origine. E anche che le modalità con cui la nave fu costretta ad attraccare risultano illegali. Speriamo che si metta al più presto la parola fine a questa lunga vicenda che ha colpito i diritti di due marò italiani impegnati, secondo le norme internazionali, in attività di anti pirateria. L’udienza potrebbe limitarsi ad un dibattimento breve, posso solo auspicare che la decisione non richieda un’attesa di mesi».In effetti di tempo ne è passato anche troppo sulla vicenda da quell’oramai lontano 15 febbraio 2012 quando è iniziata l’odissea dei due marò.

Dopo l’uccisione dei due pescatori indiani, qualche giorno dopo il fermo dei due marò italiani, il Tribunale di Kollam dispone il loro trasferimento nel carcere ordinario di Trivandrum.
Ne escono solo il 30 maggio quando l’Alta Corte del Kerala concede ai due fucilieri italiani la libertà su cauzione di dieci milioni di rupie – 143.000 euro – stabilendo l’obbligo di firma quotidiano che impedisce loro di allontanarsi dalla zona di competenza del commissariato locale.
Ai due fucilieri venne anche ritirato il passaporto.

Solo a dicembre del 2012, qualche giorno prima di Natale, il governo italiano riesce a ottenere dall’Alta Corte del Kerala un permesso di due settimane per i due militari italiani che consente loro di trascorrere le festività in Italia con l’obbligo di tornare in India alla scadenza del permesso.

I due marò tornano quindi a casa il 22 dicembre e vengono interrogati dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo.
Il 3 gennaio 2013, alla scadenza del permesso, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone tornano in India, per poi rientrare ancora in Italia alla fine di febbraio, quando ai due fucilieri viene dato un permesso di 4 settimane in occasione delle elezioni politiche.

La posizione del governo italiano è, inizialmente, quella di non rimandare i due fucilieri in India ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri annuncia invece successivamente che i fucilieri sarebbero tornati nel Paese asiatico.
L’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi annuncia quindi in Parlamento le proprie dimissioni irrevocabili in polemica con la decisione del governo di rimandare i marò in India.

Il 16 dicembre del 2014 arriva il no della Corte Suprema indiana alle istanze presentate dai marò, anche per quanto riguarda il possibile rientro in Italia di Girone.
Dopo mesi di schermaglie politiche e diplomatiche, il governo italiano decide, il 26 giugno del 2015, di attivare la procedura di arbitrato internazionale di fronte all’impossibilità di arrivare a una soluzione negoziale con l’India.

L’Italia chiede di consentire la permanenza di Latorre in Italia (nel frattempo tornato nel nostro Paese per alcuni problemi di salute) e il rientro in patria di Girone durante l’iter della procedura arbitrale.
Il 2 maggio 2016 il Tribunale Arbitrale dispone che anche Girone faccia rientro in Italia fino alla conclusione del procedimento arbitrale.

 

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