Malasanità, perse la vita con un feto morto nel grembo. L’avevano curata per lombosciatalgia

1 Lug 2019 16:33 - di Redazione

Poteva essere salvata Anna Siena, la donna di 36 anni morta nell’ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli il 18 gennaio 2019, se solo fosse stata visitata a dovere al suo primo ingresso al pronto soccorso. E’ quanto si evince dalla relazione scritta dal medico legale nominato dalla Procura e chiamato a dare il suo parere tecnico nella causa intentata dalla famiglia della donna attraverso i legali Angelo e Sergio Pisani.La donna si era recata in ospedale una prima volta il 15 gennaio 2019 ed era stata dimessa con una semplice diagnosi di lombosciatalgia, dopo un’attesa di ore su una sedia e senza esser scrupolosamente visitata. Dopo tre giorni, però, il suo cuore ha smesso di battere. La donna era incinta e aveva in grembo un feto morto e a ciò erano dovutii forti dolori addominali che la donna aveva accusato e per cui si era recata in ospedale il 15 gennaio dove nessuno aveva capito quanto stava accadendo. La necrosi del feto, ucciso dal cordone ombelicale, ne avrebbe provocato la morte dopo tre giorni. «Deve censurarsi – scrive il medico legale – l’operato dei medici che ebbero contatto con la paziente Anna Siena in data 15.01.2019, poiché la paziente non fu sottoposta ad un corretto esame anamnestico e soprattutto clinico obiettivo, che ove invece eseguito in condizioni e con modalità adeguate, avrebbe senza dubbio mostrato l’esistenza di un addome gravidico. Emerge dunque che un’idonea e indicata assistenza della giovane paziente Anna Siena ne avrebbe con criterio di elevata probabilità tecnica garantito la sopravvivenza».

In sostanza, se i medici avessero eseguito gli accertamenti necessari si sarebbe potuta salvare la donna che invece fu mandata a casa con una diagnosi di lombosciatalgia. «Difficile spiegarla ai genitori, alla sorella e alle nipotine – commentano all’Adnkronos gli avvocati Angelo e Sergio Pisani – . I medici dovrebbero essere sempre attentissimi e scrupolosi perché la vita umana vale più di qualsiasi ecografia ed analisi risparmiata. Nessuna sentenza e nessun risarcimento potranno restituire la giovane donna ai suoi cari ma le giustizia ed una diversa condotta dei medici, ma soprattutto una regolare organizzazione sanitaria,  potrebbero almeno evitare in futuro altro casi di malasanità».

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