Clamorosa gaffe del presidente Leoni nel processo a Cavallini per la strage di Bologna

10 Lug 2019 19:10 - di Massimiliano Mazzanti
La strage di Bologna

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

L’udienza odierna del processo a Gilberto Cavallini, in cui il geominerario esplosivista Danilo Coppe è stato chiamato a illustrare la sua perizia sulla natura degli esplosivi usati per l’attentato del 2 agosto 1980 a Bologna, è stata caratterizzata dagli equivoci.
L’Ansa e quasi tutte le altre agenzie e testate on line hanno evidenziato quello in cui l’esperto ha ammesso d’essere caduto, confondendo – causa una fotocopia di una fotografia di trent’anni or sono – una “placca” rinvenuta tra i materiali sequestrati nel 1986 a Christa Margot Frolich con qualcosa di ben più simile all’ormai noto “interruttore” ritrovato tra i reperti della stazione del capoluogo emiliano su cui si concentra parte significativa della sua stessa perizia: «Del paragone con l’esplosivo utilizzato dalla Frohlich mi prendo la responsabilità – ha dichiarato Coppe davanti ai giudici e alle parti – ma se dovessi riscrivere la relazione non lo rifarei».

Effettivamente, in una fotografia a colori dell’oggetto sequestrato alla terrorista tedesca – trovata in un momento successivo all’estensione della relazione – la differenza con quello rinvenuto ai Prati di Caprara, in una caserma nei pressi di Bologna, appare notevole. Quel che non cambia, però, è appunto la “possibile natura” del reperto ritrovato tra le macerie della stazione di Bologna che, allo stato attuale dell’analisi – che, per altro, verrà ulteriormente approfondita nelle prossime settimane -, pare proprio essere una parte fondamentale dell’ordigno che uccise 85 persone.

L’altro “equivoco”, quello in cui sembra essere caduto il presidente della Corte d’Assise di Bologna, Michele Leoni, sollevando profonde perplessità nei difensori dell’imputato, è certamente più vistoso, anche perché non giustificabile certo col tempo trascorso, col deperimento degli oggetti o con la scarsa qualità dei materiali conservati negli archivi giudiziari.

Spiegando le ragioni che, per “analogia”, hanno portato il collegio peritale a fare collegamenti tra gli attentati di Bologna ed alcuni altri eseguiti dal gruppo di Ilich Ramirez Sanchez, alias Carlos, Coppe ha indicato nella “location” un elemento importante.
Non potendo disporre di dati “oggettivi” – cioè, materiali: tipo di innesco o di esplosivo o di tecnica di fabbricazione dell’ordigno, ecc. – univoci per tutti o buona parte degli attentati dell’epoca, la perizia ha preso in esame anche altri fattori, come appunto le modalità d’azione e gli obiettivi prescelti.
Da questo punto di vista, Bologna rimanda quasi naturalmente a Carlos e ad analoghi attentati compiuti in Europa e per i quali sono stati raggiunti verdetti di colpevolezza dell’indiziato che non lasciano adito a dubbi.

Nel mentre che Coppe chiariva questo aspetto significativo del suo ragionamento, il presidente Leoni ha voluto precisare come ci fosse anche un’altra “analogia”, da questo punto di vista, però, di segno politico opposto: la partecipazione del neofascista Carlo Cicuttini alla strage di Atocha in Spagna.
Lì per lì, questa frase, gettata nel contraddittorio in corso come per sminuire la portata del ragionamento di Coppe ha suscitato perplessità per il fatto che, mentre le responsabilità di Carlos sono verificate e incontestabili, a memoria, nessuno dei presenti rammentava di condanne a carico di Cicuttini per strage, né in Spagna né altrove.
Poi, a una rapida verifica nelle more di una pausa, si è accertato, appunto, che Cicuttini non è mai stato indagato in Spagna per strage, ma segnalato – senza nemmeno addurre prove di un tale sospetto – in una relazione del Cesis come partecipe a quella di Atocha del 24 gennaio 1977; quella in cui – a colpi di mitra – furono assassinati 5 avvocati a Madrid.

Una segnalazione del Cesis che non ha mai avuto alcun riscontro giudiziario né qui né all’estero, ma che, sopra a tutto, non ha niente a che vedere con attentati dinamitardi ai treni.

Possibile che Leoni abbia confuso quell’attentato col ben più grave – e di chiara e indiscutibile matrice islamica – attentato del 2004, compiuto sempre ad Atocha, quello sì ai treni e con quasi 200 morti? Sembra difficile immaginare un errore del genere, eppure…

Terminata la pausa, l’avvocato Gabriele Bordoni non ha mancato di chiedere spiegazioni al presidente della sua affermazione e Leoni, leggendo un articolo tratto da internet, è apparso in difficoltà quando, dovendo ammettere la ben diversa natura dei due atti, ha cercato quasi di giustificarsi, dicendo che anche quello del ’77 avvenne nei pressi della stazione. Giustificazione un po’ goffa, in verità.

La sensazione, tutt’altro che rassicurante, è che il presidente della Corte, nell’ansia di negare ogni possibile “rimando” alla così detta “pista palestinese”, anche affidandosi a un esempio tanto clamorosamente sbagliato, abbia tradito un pregiudizio verso le ipotesi che portano a Carlos e al gruppo “Separat” che non dovrebbe albergare in chi è chiamato oggi a valutare serenamente e imparzialmente i fatti della Bologna del 1980.
Anche perché, per quanto lontana dalla convinzioni di questo o di quello, la “pista palestinese” è pur sempre uno dei pilastri della difesa dell’imputato e, a dibattimento in corso, meriterebbe comunque il rispetto dovuto processualmente a tutte le posizioni messe a confronto nel contraddittorio tra le parti.

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