Bologna, Gero Grassi (ex Pd) rivela: «Io so i nomi degli stragisti, ma se parlassi…»
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Adesso basta: fuori quelle carte! Gero Grassi non è uno “spione”, né “regolare” né “deviato”. Gero Grassi non è nemmeno un “simpatizzante” dei Nar e tanto meno della Destra politica. Gero Grassi è un ex-parlamentare del Partito democratico, il quale – sempre per il Partito democratico – ha lavorato e con passione nell’ultima commissione d’inchiesta parlamentare sull’assassinio di Aldo Moro e che, in virtù di quell’impegno, ha visionato le carte del tutt’altro che fantomatico “lodo” che porta il nome dell’ex-statista democristiano e che riguarderebbero i patti con le organizzazioni palestinesi per il trasporto di armi nel nostro Paese negli anni ’70. E Gero Grassi oggi scrive nero su bianco: <Io so i nomi dei responsabili delle stragi>, precisando come questa sua conoscenza sia fondata su <atti che non vanno nella direzione dei processi>.
La rivelazione
È incredibile: una così forte affermazione – per di più formulata da un politico di solide basi – accampa non nella prima pagine del <Corriere della Sera> – dove accampò un altro e ben più noto <io so>, quello di Pier Paolo Pasolini, a cui lo stesso Grassi esplicitamente si richiama -, ma solo alla pagina 20 della <Gazzetta del Mezzogiorno>. Quel che conta, però, è che la voce di Grassi si sia alzata, per di più, contro coloro che vorrebbero la “pista palestinese” cara solo agli ex-missini, per contestare a Renato Farina alcune delle sue recenti considerazioni sullo stesso tema, rivendicando almeno anche a parte del Partito democratico il merito di aver chiesto di desecretare le carte che testimonierebbero la verità sulla Strage di Bologna. Grassi non usa giri di parole: <Ho avuto modo di leggere la documentazione, ma non posso parlarne. Mi arresterebbero se lo facessi ed alcuni sarebbero felici>.
Bologna, le carte non sono segrete
Già, perché quelle carte non sono assolutamente “segrete” e “misteriose”: le ha lette Grassi; le ha lette Maurizio Gasparri; le ha lette Carlo Giovanardi; , ne conosce o ne ha intuito il contenuto Giorgia Meloni, la quale ha chiesto proprio pochi giorni fa al governo di metterle a disposizione dei magistrati. Eppure, proprio i magistrati – proprio quelli di Bologna, proprio quelli che anche nell’ultima udienza prima della pausa estiva hanno protestato il loro unico interesse per la “verità” – sembrano gli unici a non essere interessati a leggere ciò di cui parla Grassi. Al processo contro Gilberto Cavallini può testimoniare chiunque, tranne chi sa qualcosa della “pista palestinese”.
La vicenda si riapre
L’ultimo della fila, il giornalista Giuseppe Nicotri, il quale, con una disinvoltura sconvolgente, ieri ha negato e spiegato per circa 40 minuti perché fosse impossibile che avesse intervistato Amos Spiazzi a casa sua, dove non sarebbe mai stato; salvo poi spiegare, con identica disinvoltura, a fronte di una precisa contestazione dell’avvocato Alessandro Pellegrini, le ragioni per cui quella stessa intervista fosse stato ovviamente costretto, per ragioni tecniche, a realizzarla nella casa del fu spione del Sismi. Tutto e il contrario di tutto, senza che nessuno della Corte o della Pubblica accusa rilevasse la vistosa incongruenza che ha reso complessivamente poco attendibile tutta la testimonianza. Eppure, proprio la magistratura avrebbe il potere di sciogliere dai giuramenti di segretezza Grassi, Gasparri, Giovanardi e chi altri nemmeno lo si sa, pretendendo anche la produzione delle carte che, trattando della Strage, anche indirettamente, non possono più ex-lege essere secretate. Tanto più ora che qualcuno – per altro, sempre del Pd – ha preteso di riaprire la vicenda da un punto di vista giudiziario, portando alla sbarra un imputato, Cavallini, al quale, di fatto, verrebbe conculcato gravemente il diritto di difendersi, ostinandosi a rifiutare l’ammissione nel contraddittorio di carte e testimonianze che lo scagionerebbero pienamente.