Franco Zeffirelli l’anticonformista, il ricordo: maestro della forza dei sentimenti

17 Giu 2019 9:45 - di Carlo Cozzi

Con la scomparsa di Franco Zeffirelli esce dalla ribalta il maggiore protagonista italiano dello spettacolo inteso quale manifestazione integrale del rappresentare scenico. Zeffirelli è stato grande regista sia nel campo del cinema, sia in quello del teatro di prosa, sia soprattutto nel campo dell’opera lirica, la forma di espressione d’arte scenica più italiana, per impronta creativa, per identità specifica e popolarità senza confini, che sia apparsa nella storia del teatro dal tempo della drammaturgia greca fino all’Otto-Novecento. Il grande miracolo prodotto dal suo talento di demiurgo è stato quello di mettere al centro delle sue traduzioni delle opere liriche nel linguaggio peculiare del cinema sempre e soltanto l’essenza e l’integrità del melodramma, la sua unità inscindibile fatta di tessuto musicale, di poesia emozionale e della priorità attribuita in primo luogo ai sentimenti, senza arrendersi mai alla moda ruffiana di “ammodernare” il melodramma contaminandolo come un artificioso strumento portatore di messaggi di natura ideologica.

Zeffirelli e i capolavori della lirica

Ciò che muove Zeffirelli nell’atto creativo della sua rilettura dei capolavori della lirica come nelle messinscena della drammaturgia, è  un’attenzione di fondo dedicata alla realtà dei sentimenti, quella vibrazione di fondo cioè che anima il melodramma, quel fascino che cattura ancor oggi l’empatia del pubblico popolare in ogni angolo del pianeta. «Gli spettatori – affermava Zeffirelli – hanno da sempre il diritto sia di rifiutare il prodotto beota, sia quello in cui la qualità si coniuga solo con l’oscurità, decifrata soltanto da qualche iniziato. Mi sono sempre occupato e preoccupato soprattutto della realtà delle passioni della gente. Nel mio lavoro – concludeva il regista fiorentino – ho sempre cercato la chiarezza e la forza con cui rappresentare una storia e i suoi sentimenti di fondo”.  Zeffirelli non nascondeva il suo allarme e la sua amarezza per lo sfascio e lo sbandamento che avvertiva come un rabdomante nella società degli ultimi decenni del Novecento, dominata da un “plotone creativo che considera l’arte un bombardamento a tappeto con cui polverizzare tutto quello che si è creato finora. Buttano giù con una stupefacente miopia la famiglia, l’idea di gruppo, di patria, di comunità, i sentimenti, l’amore».

Una vita dedicata alle opere

Sarebbe necessario un volume anche a voler soltanto sintetizzare la mole di lavoro ad alto spessore artistico realizzata da Zeffirelli nel corso di una vita intensa dedicata alla lirica, al film e alla drammaturgia,  sulle scene teatrali, sullo schermo cinematografico e in tv. Il nostro giornale, del resto, questa sintesi l’ha già fatta ieri, egregiamente, con suoi servizi dedicati al Maestro scomparso. Io voglio qui ricordare una esemplare trasposizione cinematografica che Zeffirelli girò nel 1982 della “Traviata”, opera cult della storia del melodramma che il regista amò e sviscerò con passione fino al fondo del suo valore più profondo e duraturo.

Il valore della “Traviata” e il modello Zeffirelli

La “Traviata” che Zeffirelli realizza quasi quarant’anni fa per il grande schermo rappresenta infatti il modello esemplare del metodo peculiare al regista fiorentino di concepire il film-opera. Un paradigma in cui confluiscono e si fondono armonicamente, da un lato, la sua straordinaria capacità, collaudata dalla sua sterminata frequentazione dei palcoscenici della regia lirica, di cogliere nel vivo l’essenza intima dell’opera rappresentata, in un rabdomantico sforzo di immedesimazione con il momento creativo dell’autore, un tramite di adesione all’emozione vissuta, dal musicista  e dal poeta, nel concepire e dar vita al melodramma, molto vicino al criterio teorizzato da Giovanni Gentile nel 1931 con la sua “Filosofia dell’Arte”, testo fondamentale per attingere all’essenza reale dell’arte, intesa come la sintesi di “sentimento” e di “gusto”, i due fattori  che interagiscono ogni volta  che  fra il fruitore dell’opera e il suo artefice nasce un rapporto tutto interiore di riflessione e simbiosi.  Zeffirelli riesce infatti nella sua trasposizione ad attuare una resa nitida dell’atmosfera e del clima originale del melodramma verdiano, attuata attraverso un’adesione non condizionata ai valori culturali, estetici ed ambientali dell’epoca che l’aveva generato. La rilettura cinematografica de la “Traviata” testimoniava inoltre nel regista una matura e consapevole padronanza della sintassi del linguaggio cinematografico, specie nell’impiego in funzione espressiva del “flash back”per avvolgere il racconto nei veli malinconici della memoria, nel ricorso all’apertura ariosa dei campi lunghi per sottrarre l’azione all’angustia claustrofobica del palcoscenico e dilatare l’intensità del dramma nelle vibrazioni emotive degli spazi aperti, nell’uso sapiente dei primi piani per sottolineare la verità psicologica delle passioni, oppure nell’esaltare nell’incombente fastosità della  cornice scenografica il peso struggente di una perduta felicità.

Protagonista il melodramma

Una concezione del film-opera, questa di Zeffirelli, che si discosta nettamente dai modi di approccio al melodramma tentati, ad esempio, da registi come Bergman, che nel “Flauto magico” scava nel rapporto fra pubblico e convenzioni del palcoscenico, oppure come Losey, che nel “Don Giovanni”punta sulla definizione sociologica e sulla collocazione filosofica dell’opera mozartiana. Per Zeffirelli, invece, protagonista assoluto del film resta il melodramma, nella sua essenza peculiare. Nell’intrinseca “verità” del suo impatto emotivo sulla sensibilità del pubblico fruitore. La rilettura di un’opera lirica per lui può avvenire soltanto nei confini stilistici e contenutistici connaturati all’opera stessa, escludendo qualsiasi trasposizione concettuale o qualsiasi sovrapposizione mirante ad imprimere alla narrazione una interpretazione di natura ideologica, allusiva ai conflitti della società contemporanea.

Quel biglietto personalissimo…

Dopo la prima del suo film su la “Traviata” al Teatro dell’Opera di Roma, Zeffirelli mi inviò un biglietto, scritto col suo personalissimo inchiostro dorato e con la sua elegante grafia cinquecentesca: “Che piacere sentirti tanto vicino a Traviata, croce e delizia per me. Un lavoro in cui credo di aver traboccato di amore, un amore forse esaltato, febbricitante”. Ciao, Maestro Zeffirelli. Nel regno dove siedi adesso tutto è Amore e Bellezza. E risuonano sulle nuvole, lievi e vibranti  di sentimenti, le note eterne di Verdi.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *