Storia e inchieste sul Mose di Venezia. Trovato all’estero un nuovo tesoretto

12 Apr 2019 14:48 - di Sante Perticaro

Ieri è stato ritrovato un altro tesoretto (ben occultato all’estero) riconducibile al sistema Mose di Venezia. Un po’ di ricapitolazione generale e sommaria degli accadimenti principali si impone, per non perdere il Nord della bussola nelle acque lagunari. Proverò a farlo. La tematica della “messa in sicurezza” della città storica dalle acque alte ebbe una forte accelerazione più di mezzo secolo fa, precisamente a seguito dell’evento del 4 novembre 1966 (quando il picco di marea toccò i 194 centimetri), con immancabili proiezioni pure nel dibattito politico locale.

Mose e il tesoretto nascosto

Ci fu un tempo in cui per “fare politica” a Venezia tu dovevi conoscere almeno i rudimenti essenziali della cosiddetta “Legge Speciale”, in modo particolare delle conoscenze idrauliche anche se, in verità, di laureati specifici la politica locale ne ha frequentati ben pochi: gli ingegneri G. Gusso e C. Degan erano l’eccezione che confermava la regola. Non mancavano però – come in tutte le famiglie – gli “opinionisti pronta-cassa”: particolarmente presenti laddove imponenti dosi di “foraggio” prevalevano sulle teorie scientifiche. Chissà, quindi, perché non mi ha affatto sconvolto la notizia del ritrovamento, in più “Paradisi fiscali” e con più prestanomi, del tesoretto del fu deputato, fu presidente della Regione Veneto, poi fu ministro, infine fu senatore della Repubblica, Giancarlo Galan. Perché egli, da affarista padovano (quindi attento solo alla “roba”), diede la benedizione per ritagliare, allungare, diluire e scassare, il progetto originario con interminabili varianti che ebbero – diciamola tutta la verità – delle ampie praterie di consenso politico. Detto padovano si era accomodato su di una poltrona, al primo piano (quello nobile) di Palazzo Balbi, laddove prima aveva allignato un altro pregiudicato padovano al quale non difettó il soggiorno nelle patrie galere, nel lontano 1992. Il diavolo corruttore venne regolarmente battezzato, con la legge n. 798/1984, con il nome di “Consorzio Venezia Nuova”, che elargiva ad opera dei suoi Soci Fondatori delle importanti mazzette di denaro frusciante (che viene, di volta in volta, scoperto dall’eccellente lavoro della Magistratura), con cui si era trasfigurato – nelle vesti di Cherubino – quel soggetto che è nientepopó di meno che il Concessionario di uno Stato che si propose di realizzare le 78 barriere mobili – nelle tre bocche di porto – attraverso cui il mare penetra la Laguna.

Le protesi luciferine di questo polipo corruttore, puntualmente condannate dall’opera di magistrati di ben tre generazioni, erano del tutto leste a dichiarare (per rifarsi una verginità mai avuta, anzi più corrompevi e più eri considerato) che sì, hanno corrotto, “ma come me agivano gli altri soci del Consorzio” (Piergiorgio Baita). È così l’anno che si è appena aperto potrebbe essere davvero quello della “messa in sicurezza” di Venezia sotto due punti di vista: dalle acque alte e dalla cattiva politica.

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