Scurati fa l’antifascista e va allo Strega col suo romanzo su Mussolini. Già fiuta aria di vittoria…

2 Mar 2019 14:19 - di Adele Sirocchi

“Sono convinto che questo romanzo possa contribuire al risveglio di una coscienza democratica“. Così in una lunga intervista a Repubblica Antonio Scurati spiega perché ha deciso di candidarsi al premio Strega col suo romanzo storico M.Il figlio del Secolo. Fin da quando lo scrittore ha annunciato l’uscita del romanzo ha voluto calcare la mano su una sorta di antifascismo di maniera, quasi a volersi giustificare: guardate che scrivo di Mussolini ma per far risorgere una coscienza democratica. Capito?. E’ stata insomma una concessione obbligata all’establishment cultural-editoriale che, di contro, gli ha consentito di cavalcare l’onda dell’interesse sul Ventennio, peraltro mai venuto meno nel tempo. Così Scurati, dopo avere scritto romanzi sui cinesi che conquistavano Venezia difesa da un circolo di gladiatori scelti, cimentandosi con la letteratura distopica post-apocalittica, ha virato sulla storia e sul recente passato, confessando di essere rimasto affascinato dall’ascesa al potere di Benito Mussolini e dalle personalità del primo fascismo. Materiale che stava già tutto lì, nei libri e nei documenti, e che aspettava solo di essere narrato o narrato di nuovo.

Il libro ha venduto molto bene e la cosa ha dato fastidio non certo perché rinverdisce l’antifascismo. La narrazione infatti, pur non facendo sconti né a Mussolini né ai primi fascisti, coglie la lungimiranza politica del futuro capo del regime, la sua spregiudicatezza, la sua capacità di rischiare e scommettere, il rapporto con le folle, la capacità di saper cogliere il momento storico con lucidità e senza farsi illusioni. E tutto ciò senza esprimere giudizi ma solo lasciando parlare i fatti. Insomma di romanzesco c’è ben poco nel romanzo di Antonio Scurati. L’acume storico lascia però a desiderare: l’impietoso elenco di errori da matita blu fatto da Ernesto Galli della Loggia recensendo M. Il figlio del secolo non ha mancato di suscitare polemiche che hanno coinvolto anche la qualità dell’editing. Perché mai dunque dovrebbe vincere il premio Strega? Certo dietro quelle ottocento pagine – il racconto dell’ascesa al potere di Mussolini dalla nascita dei Fasci fino al delitto Matteotti – c’è un lavoro di notevole approfondimento e un sincero tentativo di adesione alle fonti (lo si vede nel modo in cui viene raccontata l’avventura fiumana, nella capacità di cogliere gli attriti tra lo stesso Mussolini e gli squadristi più violenti, nel presentare anche la violenza spietata dei socialcomunisti durante il biennio rosso) ma manca quel tocco di genio che fa di un romanzo un capolavoro o comunque un titolo meritevole di un premio ambito come lo Strega.

Quel premio è stato poi già vinto da un romanzo che aveva al centro del suo nucleo narrativo il fascismo: stiamo parlando di Canale Mussolini di Antonio Pennacchi che raccontava l’epopea della bonifica attraverso la famiglia dei Peruzzi. Era il lontano 2010 e già all’epoca venne considerata “revisionista” la circostanza che in un libro di successo vi fosse la parola Mussolini. Ma, ad essere onesti, nel romanzo di Pennacchi, c’è molto di più della storia del fascismo: c’è anche la storia materiale, quella che secondo molti storiografi documenta meglio di ogni altro reperto la “vita collettiva” di un’epoca: il modo di vestire, il cibo, l’acqua, il bagno, l’igiene, i racconti serali, i fienili, il pagliaio, il gabinetto, l’uccisione del maiale.  Il fascismo è solo lo sfondo, con il suo Duce che parla in dialetto, percepito al di fuori della tragedia di cui è stato protagonista, riconsegnato anche lui alle relazioni familiari che nel romanzo si intrecciano. Pennacchi – che peraltro evitò di impelagarsi in dispute polemiche sull’antifascismo da ravvivare – seppe trasformare in epica le vicende storiche, Scurati si limita a legarle insieme cronologicamente. Certo, c’è attenzione alla figura di Margherita Sarfatti, a quella di Nicola Bombacci, a quella di Giacomo Matteotti (che risulta alla fine più simile a un grillino ante litteram che a un socialista) ma nessun personaggio alla fine travolge e incanta. E’ tutto così vero che il lettore ha quasi timore di lasciarsi coinvolgere, tranne quella fascia (probabilmente maggioritaria) che ha potuto apprezzare la mancanza di pregiudiziali ideologiche. Scurati li chiama i “nostalgici”. Dice che il libro purtroppo è piaciuto anche a loro “ma è servito maggiormente a corroborare le coscienze degli antifascisti, ne sono certo”. Noi crediamo l’esatto contrario: il romanzo ha avuto successo perché in esso era assente la retorica dell’antifascismo. Ma se Scurati la vuole rispolverare per vincere lo Strega si accomodi pure. Senza i nostri auguri.

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