Mollicone (Fdi): «Così regaliamo al Partito comunista cinese i nostri gioielli»

15 Mar 2019 13:06 - di Redazione

«Il memorandum proposto sulla nuova Via della Seta presenta una vaghezza nei termini degli accordi con gravissimi pericoli per la proiezione internazionale della nazione. Il governo decida se fare gli interessi dei cinesi o gli interessi degli italiani. Con questo atteggiamento colpirà settori strategici della nostra economia e metterà in serio rischio l’interesse nazionale dell’Italia». Continua il pressing di Fratelli d’Italia per fermare l’intesa commerciale con Pechino che rischia di avere ripercussioni politiche gravissime negli scenari internazionali.

«Di Maio sbaglia», dichiara Federico Mollicone deputato di FdI dopo il vertice a Palazzo Chigi che lascia irrisolti tutti i problemi sul tappeto. Il testo proposto, infatti,  non riguarda il commercio, bensì i termini della presenza cinese in Italia nel sistema economico e finanziario nazionale come infrastrutture, banche, Telecomunicazioni e informazione, mette in guardia l’esponente del partito di Giorgia Meloni. «In caso di firma, l’Italia cederà porzioni di sovranità nazionale, rischiando di diventare un distretto “cinese” come Prato. Il governo italiano potrebbe siglare solo se fossero tutelati l’interesse e la sovranità nazionale. Occorre pensare in una dimensione europea per non perdere la sfida geopolitica della Cina: dopo il 26 maggio costruiremo un’altra Europa composta da nazioni sovrane, una potenza geopolitica che tuteli le specificità e gli interessi dei singoli Stati», conclude Mollicone ricordando la presenza massiccia del gigante asiatico nella nostra economia. «L’elenco delle aziende italiane in cui gruppi cinesi sono presenti comprende grandi nomi come Enel, Generali, Terna, Ansaldo Energia. Perfino Cassa Depositi e Prestiti ha all’interno partecipazioni cinesi. L’investimento maggiore è stato sulla Pirelli, di cui il gigante China National Chemical, società a partecipazione pubblica, ha acquisito la quota di controllo per 7,3 miliardi di euro. Nelle società pubbliche cinesi sono presenti dei veri e propri “commissari” politici, che vigilano sull’operato aziendale. Rischiamo di regalare al Partito Comunista Cinese i nostri “gioielli” industriali e finanziari».

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