L’ultimo bluff di Cesare Battisti: gli agenti brasiliani mi hanno lasciato agli italiani

15 Mar 2019 17:52 - di Redazione
cesare battisti

Cesare Battisti tenta l’ultimo bluff. E imbastisce di fronte ai giudici l’ennesima storia cercando di sostenere, fra l’altro, che non è fuggito dal Brasile, dove viveva, in Colombia per sfuggire alle richieste di arresto da parte dell’Italia e alle promesse del neo-presidente Jail Bolsonaro di consegnarlo a Roma ma si sarebbe, invece, recato come un tranquillo turista nel paese colombiano «nel dicembre 2018 per incontrare dei colleghi per il progetto di un libro» in quanto «scrittore e traduttore», libero di poter viaggiare in Sudamerica.
Una ricostruzione fantasiosa che non sta in piedi. E che Battisti arricchisce di ulteriori particolari come farebbe un buon romanziere che aggiunge un po’ di sale al suo libro.

Racconta, dunque, davanti ai giudici della Sorveglianza di Cagliari l’ex-terrorista dei Pac condannato a due ergastoli per quattro omicidi, che erano arrivati a prenderlo in Colombia gli agenti brasiliani ma, una volta sulla scaletta dell’aereo, lo avrebbero invece lasciato a terra e sarebbero ripartiti per il Brasile senza di lui mentre, un paio di ore più tardi, una squadra della polizia italiana lo prendeva in carico riportandolo poi in Italia.

Ecco come Battisti ricostruisce dunque il suo arresto in Colombia e il suo trasferimento in Italia.
Il 12 gennaio 2019 il terrorista dei Pac sarebbe stato arrestato dall’Interpool boliviana «e trasportato nei loro locali. Lunedì un agente – sostiene Battisti di fronte al magistrato di sorveglianza – mi ha notificato un’espulsione, un provvedimento di espulsione dalla Bolivia. Ho firmato il documento e mi è stato spiegato (e così era anche scritto) che avevo tre giorni per presentare un ricorso e che la risposta sarebbe giunta nei successivi cinque giorni».

Quindi avrebbe avuto altri venti giorni per lasciare la Bolivia e far rientro nel Paese di origine, «cioè il Brasile».
Ma, racconta ancora Battisti, dopo che il funzionario dell’immigrazione va via, altro personale dell’Interpool boliviana lo ha «prelevato per andare in aeroporto senza fornire alcuna spiegazione».
Battisti racconta di aver atteso anche in compagnia di «sei o sette agenti della polizia federale brasiliana e un delegato che suppongo fosse il capo scorta» e mentre saliva la scaletta dell’aereo «c’è stato un conciliabolo con gli agenti della polizia brasiliana. Siamo quindi rientrati, hanno discusso, ho sentito frammenti di conversazione e ho capito che l’aereo brasiliano sarebbe rientrato con gli stessi passeggeri», lasciando a terra l’ex-terrorista dei Pac.

Dopo circa un’ora e mezza «la scorta brasiliana è ripartita senza di me. Ho tentato di chiedere spiegazioni ma non né ho ricevute».
Due ore dopo, arrivano «una decina di persone di nazionalità italiana. Gli italiani hanno firmato dei documenti davanti a un ufficiale dell’aeronautica boliviana, mi hanno chiesto di seguirli fino a un minibus che ci ha condotti all’aereo italiano e il decollo è stato immediato».
Inutile, sostiene Battisti, la richiesta di spiegazioni: «Non mi è stata data risposta, non mi è stato mostrato alcun documento o prova di niente».
Dopo uno scalo a Capo Verde per il rifornimento, il giorno dopo Battisti è atterrato all’aeroporto di Roma Ciampino e portato in carcere.

L’Interpol colombiana, peraltro, aveva già messo gli occhi su Battisti fin dal 2007 quando l’ex-terrorista rosso era stato arrestato in Brasile dopo le  segnalazioni arrivate da Italia e Francia all’Interpol che aveva emesso un red notice su di lui.

L’Interpol colombiana segnalava quindi sul proprio sito nel 2007 che al momento dell’arresto di Battisti «la polizia brasiliana aveva scoperto nel suo appartamento due passaporti francesi contraffatti a Rio de Janeiro, uno dei quali è risultato registrato nel database Interpol fra i documenti di viaggio rubati e persi».

La circostanza del suo nuovo arresto avvenuto nei mesi scorsi, così come l’ha raccontata Battisti subito dopo essere stato portato in Italia ai magistrati di sorveglianza, viene quindi utilizzata dai suoi legali per chiedere «l’applicazione di quell’estradizione» che sarebbe stata firmata da Battisti con il Brasile.

«Le modalità riferite dal detenuto Cesare Battisti, trasferito da un aereo brasiliano ad uno italiano, confermano – sostiene l’avvocato Davide Steccanella, che assiste l’ex-terrorista – che si è trattato di una mera consegna diretta alla polizia italiana di un soggetto estradato dal Brasile. Si impone quindi l’applicazione di quell’estradizione, perché non penso che lo Stato italiano possa eseguire una pena nei confronti di chi è stato condannato per avere violato la legge, senza a sua volta rispettarla».

La difesa di Battisti ha depositato, nelle scorse settimane, anche un’istanza di commutazione della pena dall’ergastolo a 30 anni, sulla base dell’accordo di estradizione, l’unico valido secondo la difesa, ossia quello tra Italia e Brasile, dove non è previsto il carcere a vita. Tema che sarà discusso davanti ai giudici milanesi che dovranno anche tener conto delle dichiarazioni rese ieri dall’ex-terrorista che ha ricostruito le fasi della sua consegna all’Italia.

In una nota, appena depositata dalla difesa alla seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Milano, la difesa riassume così le fasi della consegna: «Giunto in aeroporto è stato raggiunto da sette agenti della polizia brasiliana e accompagnato fino alla scaletta dell’aereo brasiliano che si trovata sulla pista; mentre saliva la scala vi è stato un conciliabolo tra polizia boliviana e brasiliana e sono rientrati nella sala da dove erano usciti; quindi l’aereo brasiliano è ripartito senza di lui».
Infine, ricostruisce l’avvocato milanese «verso le 17 sono arrivati i poliziotti italiani che lo hanno imbarcato sull’aereo italiano che lo ha riportato in Italia».

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