La corsa alle armi del Celeste Impero: così Xi Jinping sta ricostruendo le forze armate cinesi
Forze armate poderose ormai non servono più per fare la guerra, ma sono diciamo come uno status symbol. Ossia, servono per poter trattare con altri Stati da una posizione di forza. Lo stesso deve aver pensato il presidente cinese Xi Jinping quando, alla fine del 2017, ha dato il via a un profondo ammodernamento delle forze armare cinesi, sull’esempio russo e naturalmente americano. Però, con tutta la buona volontà, gli americani sono a venti anni luce rispetto ai loro competitor, perché Trump, ma anche i suoi predecessori, h sempre destinato alla ricerca tecnologica militare e all’industria relativa, un budget molto più significativo di quello russo e cinese. Poi, diciamocelo, la Cina è famosa per moltissime cose, ma non certo per le sue vittorie in guerra né per la efficacia del suo esercito. Esercito che è il più forte, almeno sulla carta, della regione, con oltre un milione di soldati e altrettanti riservisti, migliaia di carri armati e di cannoni, centinaia di stormi aerei e anche una Marina militare di una certa importanza, per tacere degli ordigni nucleari. È pure vero che in questi decenni, dalla presa del potere di Mao a oggi, la Cina ha dovuto affrontare continuamente emergenze militari grandi e piccole, dalla guerra di Corea alle varie guerre con l’India, alla disputa sulle isole del Pacifico, a qualche tensione di confine con l’Unione Sovietica, ma è anche vero che dai tempi dello scontro col Giappone, ne è uscita sempre malamente, se si eccettua qualche “pareggio” con l’India. Addirittura Mao Tse Tung perse oltre mezzo milione di soldati, tra cui il figlio, nella sciagurata guerra di Corea contro il generale Douglas McArthur. E il suo successore Deng Xiao Ping, che voleva “dare una lezione” di vietnamiti, fu costretto a una umiliante ritirata.
Xi Jinping e i cinesi sono convinti di essere minacciati
Ma ultimamente è accaduto un fatto nuovo, che ha spinto la dirigenza cinese a investire più fondi sul settore militare: Pechino si è autoconvinta di essere minacciata da più parti, che la sua sicurezza è messa in pericolo: dalla Russia di Putin, dall’India, dagli Stati ex sovietici, dagli stessi Stati Uniti, la cui Marina militare si aggira costantemente non lontano dalle sue coste, per via dei rapporti col Giappone, altro nemico secolare del Celeste Impero. Così, come racconta il Gatestone Institute in un suo reportage, la retorica comunista di Pechino invita sempre il popolo a essere pronti al combattimento, ma i tempi delle divise senza gradi sono passati ormai, e i generali sono quelli che maggiormente condizionano la politica cinese. E Xi lo sa bene. Per questo ha iniziato la corsa alle armi,anche se non è con le armi convenzionali che vincerà la guerra globale. I cinesi stanno acquistando e costruendo portaerei, veicoli anfibi, bombardieri modernissimi, ma è l’industria locale che si sta sempre più sviluppando: ormai i fucili d’assalto se ne costruiscono a milioni, così come i carri armati, i cannoni contraerei e ogni tipo di mezzo militare, oltre naturalmente all’equipaggiamento che ci vuole per un esercito di centinaia di migliaia di soldati. E li esportano pure. Anche per gli aerei, dapprima Pechino li acquistò dall’Unione Sovietica – ogni tipo di Mig – mentre oggi li costruisce da sé. Stesso discorso per le riserve missilistiche e nucleari, intorno alle quali ovviamente c’è il più stretto riserbo: ma mentre qualcosa si sa dei missili, che potrebbero colpire e distruggere portaerei a distanza relativamente lontana (famosi i Dong Feng-21D e Dong Feng-26, detti i killer delle portaerei) nulla si sa sulle riserve atomiche di Pechino: si dice 240 ordigni, ma qualcuno dice molti di più. Ma è chiaro che è solo un deterrente, perché l’aviazione Usa probabilmente distruggerebbe in una notte tutti missili nelle loro basi. Tuttavia lo sforzo c’è, la spesa c’è, e l’esercito cinese è oggi più che mai organizzato ed equipaggiato. E probabilmente anche motivato, convinto com’è della presenza di nemici esterni ma anche interni, soprattutto tra le minoranze musulmane. Tutto questo Xi Jinping lo sta gettando sul piatto oggi in Italia: mostra la sua potenza per intimidire Trump e Putin. Ma tutti sono convinti che l’antica, proverbiale, saggezza cinese l’avrà vinta: meglio conquistare con il denaro e con la pazienza, come sta facendo in Africa e altrove, che tentare un’avventura militare dalla quale uscirebbe inesorabilmente sconfitta.