La figlia di Peveri: «Mio padre condannato, questa non è giustizia»
«Sapevamo che tutto questo sarebbe potuto succedere, ma non ce l’aspettavamo». Lo afferma all’Adnkronos Martina Peveri, la figlia 25enne di Angelo Peveri, l’imprenditore che il 6 ottobre 2011 sparò con un fucile a una banda di ladri sorpresi a rubare nel suo cantiere di Borgonovo Val Tidone (Piacenza) ferendone uno e che è stato condannato in via definitiva a 4 anni e sei mesi per tentato omicidio. A questo punto «è difficile avere fiducia nella giustizia, ma è giusto crederci», sottolinea. La figlia ripercorre la vicenda giudiziaria lunga otto anni: «In primo grado a Piacenza il pm aveva chiesto una pena a tre anni e sei mesi per mio padre e a due anni e due mesi il dipendente, ma il giudice ha ritenuto che quattro anni e sei mesi per mio padre e quattro anni e due mesi per il suo dipendente fossero le pene più adeguate. Poi a Bologna la sentenza di secondo grado ha confermato la pena».
«Abbiamo fatto ricorso in Cassazione e il procuratore generale aveva chiesto il rinvio del processo al secondo grado di giudizio in un’altra sezione, ma i giudici non ne hanno tenuto minimamente conto confermando la sentenza definitiva», continua Martina Peveri. Ora la famiglia attende le motivazioni della sentenza. «Aspettiamo e vedremo come muoverci», continua la figlia dell’imprenditore. Nel frattempo i ladri hanno patteggiato una pena di dieci mesi. “Ci stupisce”, sottolinea Martina Peveri dicendosi però ancora “più stupita” del fatto che, nel processo a suo padre, la richiesta del procuratore generale della Cassazione non sia stata ascoltata.
E poi ancora: «Mio padre non è un delinquente, è una persona normalissima. È vero, abbiamo subito diversi furti e chi non sarebbe esasperato. Ma mio padre non ha sparato per l’esasperazione: il colpo è partito accidentalmente, è stato un incidente, non voleva sparare». Insieme a Peveri è stato condannato per concorso in tentato omicidio anche un suo dipendente romeno: «Mi preme che se ne parli. È un dipendente che lavora da anni con mio padre, abbiamo fiducia in lui». «Immediatamente dopo che il colpo è partito – spiega la figlia dell’imprenditore – mio padre ha contattato i soccorsi». Se il ladro è ancora vivo è proprio perché Peveri «ha chiamato subito i soccorsi mentre il dipendente gli tamponava la ferita». Se avessero voluto ucciderlo, osserva la ragazza, non si sarebbero comportati così.
Si continua ad inviare messaggi di impunità a rafforzare la confidenza dei malavitosi e la frustrazione delle persone civili. D’accordo sul non incoraggiare gli eccessi di difesa senza però arrivare a ribaltare le parti tra guardie e ladri. In questo caso noi cittadini dovremmo mettere in atto una civile ma perentoria protesta di piazza nei confronti della magistratura. Meno proclami ideologici e più serietà e professionalità: velocità dei processi e certezza della pena.