Gaetano Quagliariello*: l’imprinting pugliese nell’azione politica di Tatarella

8 Feb 2019 6:00 - di Redazione

Quella di Pinuccio Tatarella è innanzitutto una vicenda pugliese. In particolare essa ha ricevuto l’imprinting di Bari, città che non gli diede i natali (Pinuccio è nato infatti a Cerignola) ma nella quale visse e che fu sempre il suo terreno d’impegno principale e prediletto.
Bari, nel contesto meridionale, si è da sempre caratterizzata per essere patria privilegiata di una borghesia commerciale e produttiva. Ha incarnato la dicotomia marxiana tra struttura e sovrastruttura: molto più attenta al sistema delle relazioni economiche, la città ha a lungo considerato la cultura con un’attitudine quasi strumentale e, per questo, non ha commesso l’errore di contrapporla al mercato e in particolare al profitto. Dal punto di vista politico, la città ha da sempre coltivato una naturale propensione verso il centrodestra.

Bari  è anche città che non dimentica e che sa onorare un debito di riconoscenza. E certamente non ha mai dimenticato la propria obbligazione nei confronti di Araldo di Crollalanza, il ministro fascista e poi senatore di Bari “a vita” che, in buona misura, è stato colui che ha “inventato” la Bari moderna. D’altro canto, il “connubio” tra le attitudini politiche più superficiali e la volontà di onorare un debito, negli anni Cinquanta portò Bari a trasformarsi, per brevi ma intensi anni, in una roccaforte del “qualunquismo” e in un terreno di sperimentazione di un’alleanza di destra (missini, monarchici e qualunquisti) che nella vicina Fasano vide ascendere alla carica di primo cittadino – terza donna in Italia – Maria Checo Bianchi, al secolo “Donna Maria”.
Bari in politica ha cambiato sovente, fondamentalmente per restare fedele a sé stessa. Pinuccio Tatarella questo lo sapeva. E sapeva che la vicenda politica barese mal si conciliava con la storia ufficiale di un Paese che aveva posto le sue fondamenta nell’antifascismo militante.

Nella temperie della fine degli anni Settanta e dei primissimi anni Ottanta, io ero un giovane studente barese che stava ultimando un apprendistato adolescenziale nelle fila del Partito Radicale. Incontravo Pinuccio spesso in compagnia dell’avvocato Franco De Cataldo, mio indimenticato maestro, qualche altra volta da solo. Ricordo in particolare la previsione che un giorno ci saremmo ritrovati, in quanto forze “escluse” dai confini ufficiali della Prima Repubblica.

Se si considera tutto ciò, non soltanto si coglie la robustezza delle radici popolari di Tatarella, ma si comprende anche per quale ragione la sua figura sia stata così importante nel 1994, al momento dell’avvento di una nuova stagione. In quella fase, infatti, in qualche modo si inverò a livello nazionale ciò che lui aveva elaborato nel laboratorio pugliese: la possibilità, cioè, che la storia d’Italia si aprisse, che abbattesse gli steccati, che arrivasse a legittimare e a ricomprendere realtà e propensioni che fino a quel momento ne erano state escluse.

Pinuccio seppe proiettare questo afflato nelle dinamiche della politica contingente. Lo seppe trasmettere all’interno del suo partito, diventando uno dei motori della trasformazione del Movimento Sociale in Alleanza Nazionale. Lo seppe trasmettere nella coalizione, ritenendo che essa fosse ancor più importante delle forze che la componevano, e affermando per questo l’esigenza di allargarsi ancora di più, andando “oltre il Polo”. Lo seppe trasmettere nel governo.

* Storico, Senatore della Repubblica, Presidente Fondazione Magna Charta

Testo tratto dal libro “Pinuccio Tatarella – passione e intelligenza al servizio dell’Italia”, edito da “Giubilei Regnani”. Link per l’acquisto del libro: http://www.giubileiregnani.com/libri/pinuccio-tatarella/

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