«Ci siamo suicidati»: il voto sul caso Diciotti lacera il Movimento 5 Stelle
Si risveglia spaccato, diviso a metà e in un certo senso lacerato il Movimento 5 Stelle dopo il viti con cui gli iscritti alla piattaforma Rousseau hanno deciso che l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini per il caso Diciotti andava respinta. Linea poi sposata dai senatori grillini della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama, che hanno ufficializzato il no al processo col loro voto. E se da un lato l’ala governista del M5S festeggia il risultato della consultazione online, dall’altra i malpancisti, sempre più perplessi, si interrogano sulla direzione imboccata dal MoVimento.
L’ora dei “malpancisti”
“Ha ragione Travaglio – si sfoga con l’Adnkronos un deputato -, è stato un suicidio politico. Un voto dirimente per il destino del Movimento. Abbiamo consentito a Salvini di essere il protagonista della nostra piattaforma per un giorno. Lui non ha dovuto fare niente, il suo nome è stato per 24 ore sulla bocca di tutti”. “Tanti attivisti in queste ore ci scrivono perché vogliono riprendersi il Movimento. Ci dicono ‘come possiamo fare? Non resta che cancellarci da Rousseau per dare un segnale'”, racconta la stessa fonte. Nel mirino non solo le scelte di Luigi Di Maio (che ieri in assemblea ha provato a caricare le truppe, annunciando una votazione sul blog per decidere la nuova organizzazione del M5S) ma anche la gestione della comunicazione. “Con questi vertici non vinceremo mai”, è il j’accuse che un esponente dell’ala ortodossa del Movimento lancia off the records, parafrasando una celebre invettiva di Nanni Moretti. E ai più non è passato inosservato il silenzio di Alessandro Di Battista dopo il referendum online su Salvini.
L’avvertimento della Taverna
La frattura certificata dal voto sul caso Diciotti è emersa nel corso dell’ultima assemblea quando Paola Taverna ha preso la parola per lanciare un avvertimento ai dissidenti. Se non concordi con le scelte del Movimento te ne devi andare: questo il senso del ragionamento espresso dalla vicepresidente del Senato, che non ha avuto certo parole al miele nei confronti dei malpancisti. Già in una precedente riunione, raccontano, Taverna avrebbe provato a mettere ‘in riga’ i nuovi arrivati: “Ma in quale azienda uno assunto da 6 mesi pretende di avere la stessa voce in capitolo di uno che sta lì da anni”, avrebbe esclamato, apprende l’Adnkronos da fonti parlamentari, la senatrice romana incassando l’apprezzamento dei vertici. Certamente i toni usati ieri da Taverna non sono piaciuti alla deputata Doriana Sarli. “Talebani… così ci hanno definito in assemblea. Io non sono talebana, non voglio portare avanti il bagaglio politico e culturale dell’Islam. Forse mi definirei più coerente con dei principi che mi sembrano alla base del nostro progetto politico. Ora in Parlamento siamo minoranza fuori non credo. Ma è ovvio che una riflessione va fatta. Sia personale che politica”, si difende la parlamentare campana.
Paura per una “Caporetto” in Sardegna
Per Luigi Gallo, presidente della Commissione Cultura, vicino a Roberto Fico, occorre ripartire dal 41% che ha votato per mandare Salvini a processo. “Il 41% degli iscritti al M5S chiedono ai vertici un cambio di passo e il ritorno ai principi del M5S”, scrive il deputato su Facebook. E avverte: “C’è qualcuno che dice che il 41% deve andarsene, qualcun altro vuole etichettare il 41% come dissidenza. Io so invece che il 41% e pronto a mobilitarsi e vuole chiedere conto della direzione di questo governo, vuole più coerenza”. E ora, data ormai per scontata una nuova ‘Caporetto’ alle regionali in Sardegna (“Francesco Desogus farà un risultato nelle sue possibilità”, ha messo le mani avanti Di Maio),i vertici provano a rilanciare il progetto 5 Stelle dotando il Movimento di una nuova forma. Il M5S “deve avere un’organizzazione permanente a livello territoriale e nazionale”, ha scandito il capo politico, parlando di una struttura “verticale” focalizzata sui temi.Idea apprezzata da gran parte della compagine parlamentare, anche se non mancano i distinguo. A partire dal rapporto – tutto da chiarire – con le liste civiche. Tant’è vero che Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, ha messo in guardia dalle insidie legate a un rapporto troppo ‘disinvolto’ con le civiche: “Bisogna stare attenti – ha detto in assemblea il senatore grillino – perché in tanti puntano a salire sul carro del vincitore”.