Caro Salvini, a Basovizza meglio col tricolore che in divisa

11 Feb 2019 6:00 - di Francesco Storace

Anche Matteo Salvini ha reso omaggio al Martirio italiano. La presenza del ministro dell’interno a Basovizza – accanto c’era il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani e tra la folla, con tanto affetto attorno, Giorgia Meloni e ovviamente Roberto Menia – serve a respingere i conati negazionisti.

Ma deve essere una cosa seria, sentita, sofferta. Non è una manifestazione politica. L’onore alle Vittime esige rispetto anche nell’abbigliamento.

Sicuramente sincera l’emozione del ministro, ma con quel luogo stonava la maniera di porsi.

Se Salvini permette, quanti sono stati tante volte a Basovizza sanno come ci si partecipa.

Matteo, che cosa c’entra la divisa della polizia di Stato anche in quel contesto?

Delle polemiche continue della sinistra sul curioso abbigliamento del leader della Lega ormai siamo abituati a considerarle vuote come gli argomenti che vengono usati a ripetizione: fanno sbadigliare.

Ma il contesto di ieri era profondamente diverso. Non era la sede per manifestare il consueto attaccamento agli uomini e alle donne della polizia.

A destra sappiamo benissimo che cosa vuol dire manifestare solidarietà a chi serve lo Stato e i cittadini; ma chi era ieri davanti alla Foiba non è certo aduso a mettere in discussione le forze dell’ordine. E tutti sanno che a Basovizza ci si reca per condividere una sofferenza e non certo odio verso quei poliziotti ai quali il ministro pensa di manifestare così la sua vicinanza. 

Ecco, ci piacerebbe davvero conoscere il perché di una scelta non felicissima. Innanzi ai Martiri ci si veste e non ci si traveste.

A Basovizza magari ci si va portando con sé una bella bandiera tricolore; se non ce l’hai, un gagliardetto, un drappo, insomma qualcosa con i colori bianco rosso e verde perché rappresentano il motivo per cui troppi nostri connazionali pagarono con la vita la loro appartenenza alla nostra comunità. Si manifesta la fierezza dell’identità italiana, si canta l’Inno di Mameli. 

Si prega per le vittime del maresciallo Tito e dell’odio etnico. La barbarie contro chi parlava italiano.

Ci si poteva limitare al raccoglimento senza bisogno di una divisa, ministro.

Hai fatto bene ad esserci e te ne siamo grati, ma non serve attirare una (ennesima) polemica. 

Prima poi andrà ricordato che a sostegno di Tito, in Italia, ci furono anche i partigiani comunisti. Gli esuli da quelle terre – Istria, Fiume, Dalmazia… – furono persino cacciati dalla stazione di Bologna dove arrivarono chiedendo aiuto; chissà se la polizia (di allora) intervenne a difenderli dalla furia comunista. Da quelle parti c’è a testimonianza di quei fatti anche una lapide che ricorda “il rifiuto della sosta dei treni di Esuli”.

Serve ancora verità, più che una divisa. E siamo certi che la pretenda anche Salvini.

Da destra, sono decenni che scaviamo nella storia da far conoscere a tutti. Purtroppo, c’è ancora troppo negazionismo, a partire dall’associazione partigiani. Ecco, ministro, che altro ci aspettiamo: la fine dei finanziamenti di Stato a chi nega la verità. 

Nel caso dell’Anpi, li diffonde a piene mani la Difesa. Ci mettiamo piuttosto in maniche di camicia, Matteo, e ci facciamo dire quali progetti paghiamo con i soldi presi dalle tasche degli italiani?

Commenti

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  • Giuseppe Lovergine 11 Febbraio 2019

    Scusate, ma a volte mi chiedo come mai notate solo queste sottigliezze (come in questo caso la divisa indossata), invece di pensare all’atto concreto fatto dal Ministro Matteo Salvini? A me e a molti italiani non importa niente l’abito che indossa, ma solo l’aspetto concreto.