Bambina di 11 anni, stuprata e “obbligata” a partorire. «Salvata una vita». Ma gli abortisti protestano

28 Feb 2019 18:51 - di Redazione

Si riaccende in Argentina il dibattito sull’aborto, dopo che una bambina di 11 anni, rimasta incinta dopo essere stata violentata dal marito della nonna, è stata costretta a partorire perché le autorità si sono rifiutate di concedergli l’interruzione di gravidanza a cui aveva diritto. «Quella bimba non solo è stata vittima di stupro e per questo ha già tentato di uccidersi due volte, ma correva gravi rischi per la sua salute nel portare avanti quella gravidanza», ha denunciato Soledad Deza, rappresentante dell’associazione Women for Women che ha denunciato pubblicamente l’accaduto, ricordando che la ragazzina aveva esplicitamente chiesto di poter abortire. «Toglietemi quello che mi ha messo dentro quel vecchio», aveva infatti detto in una denuncia presentata alle autorità nella provincia settentrionale di Tucuman.. Le sue richieste di aborto, così come quelle di sua madre e di un certo numero di attiviste, sono state però ignorate e, arrivata alla 24esima settimana di gravidanza, i medici dell’ospedale Eva Peròn l’hanno sottoposta a un taglio cesareo. Il feto di cinque mesi è stato estratto vivo ma i medici dicono che non ha quasi nessuna possibilità di sopravvivere.
Lucia, nome di fantasia, ha scoperto di essere incinta il 23 gennaio nel pronto soccorso nella sua città natale, nella provincia settentrionale di Tucumán. Una settimana dopo, è stata ricoverata nell’ospedale Eva Perón perché per due volte ha tentato di togliersi la vita. Ma Gustavo Vigliocco, responsabile sanitario di Tucumán, ha insistito affinché non venisse praticato l’aborto. “Sono vicino sia al bambino che a sua madre, il feto vuole continuare la sua gravidanza”, aveva detto in un’intervista radiofonica, spiegando che la ragazza poteva continuare la gravidanza perché pesava più di 50 chili. Avendo ritardato l’azione legale fino alla 23esima settimana di gravidanza di Lucía, le autorità sanitarie hanno deciso martedì di effettuare un taglio cesareo. La decisione ha seguito un ordine del tribunale di prendere provvedimenti immediati, data la durata della gravidanza. Cecilia Ousset, la dottoressa che ha eseguito la procedura a fianco del marito e collega medico, Jorge Gijena, ha dichiarato: «Abbiamo salvato la vita di una ragazza di 11 anni che è stata torturata per un mese dal sistema sanitario provinciale». E ha accusato il governatore di Tucumán, Juan Manzur, di usare il bambino per scopi politici. «Per ragioni elettorali le autorità hanno impedito l’interruzione legale della gravidanza e hanno costretto la bambina a partorire – ha detto – Le mie gambe tremavano quando la vedevo, era come vedere mia figlia più piccola. La bambina non ha capito affatto cosa stava per succedere». Il governo locale di Tucuman ha giustificato le sue azioni, affermando di aver messo in atto “le procedure necessarie per salvare entrambe le vite”. Ma gli attivisti per i diritti delle donne in Argentina sono sul piede di guerra. «Lo Stato è responsabile della tortura di Lucia, ha detto #NiUnaMenos, che significa “non uno di meno”, una delle organizzazioni femministe che guidano la campagna per legalizzare l’aborto. Mariana Carbajal, giornalista e attivista femminista che per prima ha raccontato la storia di Lucía, ha invece scritto su Twitter: “Tucumán l’ha trattata come un recipiente, come un’incubatrice”.
In Argentina, l’aborto è consentito dal 1921 in caso di stupro e in situazioni in cui la salute della donna è in pericolo. Inoltre, nel 2012 è stato stabilito un protocollo per poter praticare queste interruzioni. Tuttavia, l’anno scorso, una legge per legalizzare l’aborto fino a 14 settimane è stata adottata dalla Camera dei deputati ma non è passata al Senato, dietro forte pressione dalla chiesa.

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