Strage di Bologna, nuovo processo vecchio obiettivo: Ordine Nuovo
Da Massimiliano Mazzanti riceviamo e volentieri pubblichiamo
Caro direttore, in attesa delle ultime battute del dibattimento e prima che il processo per la strage di Bologna entri nella sua fase culminante, con l’esame in aula di Gilberto Cavallini, sarà forse utile mettere a fuoco il vero obbiettivo di questo capitolo della storia giudiziaria-terroristica del nostro Paese. Il cittadino comune, infatti, potrebbe aver qualcosa da ridire, nel constatare come, in buona sostanza, se le intenzioni fossero quelle dichiarate nelle carte, si stiamo spendendo centinaia di migliaia di euro, anzi, qualche milione, per la semplice “riqualificazione” del ruolo dell’imputato rispetto alla tragedia del 2 agosto. Operazione che, tra qualche mese per altro, giungerà a una conclusione provvisoria, dal momento che un’eventuale condanna dovrebbe superare anche il vaglio del giudizio di appello e, sopra a ogni cosa, quello della Cassazione che – essendo per definizione “di legittimità” – sarà attentissima nel valutare che gli elementi addotti per giustificare l’esito del processo siano effettivamente “nuovi” rispetto a quelli conosciuti da quarant’anni a questa parte. Possibile, insomma, che si sia montato tutto questo “circo” per trasformare in ergastolo una condanna a 30 anni già comminata, per di più col concreto rischio che la Cassazione, se non prima altri, annulli tutto? D’altro canto, non è possibile nemmeno immaginare che il processo persegua, come risultato, quello di permettere la definitiva “etichettatura” della strage di Bologna come “fascista”: piaccia o meno, convinca o lasci perplessi, per questo son già più che sufficienti le condanne passate in giudicato a carico di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. E, francamente, rischiare un verdetto di assoluzione per ribadire quanto è già possibile affermare – pur nella contraddittorietà e nella polemica che accompagna da decenni questa visione delle cose – sarebbe alquanto bizzarro, anche per i non sempre lineari e non sempre logici esponenti di punta dell’Associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto ’80.
Ambienti usciti indenni
Allora, quale obiettivo si persegue, con tanta energia e con tanto dispendio di risorse pubbliche, tutti sforzi degni di miglior causa? Le tante udienze a cui si è assistito hanno chiarito questo punto ed è bene precisarlo anche ai lettori: si persegue il vecchio obbiettivo di Ordine Nuovo. In fondo, cosa consegnano alla storia i precedenti processi, anche a volerne condividere le inquietanti risultanze? Consegnano alla storia l’inspiegabile gesto di quattro ragazzi – di cui uno, appunto Cavallini, nemmeno d’accordo su questa scelta – che un giorno di un’estate lontana compiono l’attentato più grave e devastante nella storia europea senza una ragione, senza uno scopo, senza nemmeno una progettualità politica e criminale. Un gesto atroce compiuto così, giusto perché, forse, quella maledetta mattina non c’era null’altro da fare. Una versione, questa, che naturalmente lascia apertissimo lo spazio ad altre e diverse investigazioni – anche se solo giornalistiche, dato che i magistrati di Bologna da questo orecchio proprio non vogliono sentire – che portano l’opinione pubblica a orientarsi verso altre spiegazioni del tremendo attentato. Dunque, a Bologna si processa Cavallini per riqualificarne il ruolo nella giornata del 2 agosto, ma, in realtà per tentare nuovamente di collegarlo – e di collegare i suoi sodali di allora – a quegli ambienti di Ordine Nuovo che, però, sono già usciti indenni dalle precedenti persecuzioni – è il caso di chiamarle così – giudiziarie. Per di più, col vantaggio che coloro i quali potrebbero essere implicati sono tutti morti: l’ultimo è stato Carlo Digilio; ma prima di lui sono scomparsi Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini, Clemente Graziani e, in ultima analisi, anche Pino Rauti, che di Ordine Nuovo fu il fondatore e l’animatore per due decenni, tra gli anni ’60 e ’70. Solo in questo modo, infatti, l’interpretazione della strage assumerebbe delle caratteristiche “mediaticamente accettabili”, vedendo i Nar come “longa manus” di una “vecchia estrema destra” che non disdegnava di rapportarsi con alcuni settori e ambienti militari.
A chi interessa più
Peccato, per chi persegue questo risultato, che anche di ciò, in fondo, non importa più niente a nessuno e che non sarà un verdetto in più o uno in meno a far mutare il giudizio di ridicolaggine che grava sull’interpretazione dello stragismo quale “strategia per impedire al Pci di andare al potere”. Semmai, insistendo oltremodo su questa strada, qualcuno inizierà a chiedersi con quali reali intenti una parte importante del Pci e della Sinistra italiana – facendo leva su rapporti che spesso erano pure coltivati alla luce del sole, tra esponenti della Destra e ambienti delle Forze armate del proprio Paese – tentò, colpendo alcune organizzazioni di destra o alcuni esponenti delle stesse, di indebolire o influenzare le scelte del comparto Difesa, in anni in cui quella stessa parte del Pci e della Sinistra era legata a triplo filo rosso alle forze armate e spionistiche dell’Urss e di altri paesi del Patto di Varsavia a noi nemici. Già perché, se appaiono grotteschi certi processi instaurati a tanti anni dai fatti e contro persone già giudicate per i reati in oggetto; risultano inquietanti i mal celati reali obbiettivi di questi stessi processi, palesemente tesi a elaborare “memorie collettive” non si capisce se più strumentali a progetti politici insondabili o più utili a far sì che nessuno indaghi sulle piste alternative. Quel che è certo, è che collegare i Nar alle vecchie strutture di Ordine nuovo, al di là delle conoscenze personali che possono aver caratterizzato le vicende di Cavallini o di altri, più che mestiere da poliziotto è materia da equilibrista e pure di alto livello, dato che la scomposta reazione di un certo mondo attivistico e giovanile missino della fine degli anni ’70 alla violenza della Sinistra e del “Regime” fu anche – com’è pacificamente acclarato dalla storiografia – reazione contro il vecchio mondo della Destra esistente allora dentro e fuori il Parlamento.