2 agosto, il mistero dell’attentato a Stiz e della fantomatica “rivendicazione” di “Giusva”
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Anche oggi, a Bologna, al processo a carico di Gilberto Cavallini, sembrava d’assistere a una puntata di quel vecchio programma televisivo, “un libro al giorno”. L’argomento, il presunto attentato al giudice Giancarlo Stiz ideato, ma non attuato da Valerio Fioravanti. Com’è appurato pacificamente, Fioravanti non pensò mai di attentare alla vita del giudice trevigiano, morto nel 2015 a 87 anni; ma questa convinzione si è radicata fin dal 1980, quando un delatore con un passato da simpatizzante missino, Luigi Vettore Presilio, in un’informativa poi fatta circolare dai servizi segreti, parlò di progetti dell’eversione nera di un “grande botto” e di una possibile azione contro “un magistrato veneto”. Da allora, benché l’inattendibilità di Vettore Presilio sia stata più volte dimostrata nei tanti processi che si sono svolti in questi quarant’anni, si individuò in Stiz il bersaglio di quel possibile attentato, dal momento che Mario Amato era già stato colpito e che il magistrato veneto era quello che aveva iniziato le indagini “a destra” per piazza Fontana, incriminando e arrestando anche Pino Rauti. Insomma, Stiz rappresentava il bersaglio ideale.
Ma Fioravanti? Il suo nome come possibile attentatore di Stiz circolò anche in passato, ma si è fissato nella memoria collettiva soprattutto da quando, appunto nel suo libro “Il Grande vecchio”, Gianni Barbacetto ha riportato brani di un’intervista con lo stesso Stiz, il quale avrebbe raccontato un fantomatico episodio. Quale? Nel corso del processo per il sequestro di un gioielliere a scopo di rapina – episodio che vide Fioravanti protagonista e reoconfesso come nella quasi totalità dei casi giudiziari che lo riguardarono – l’avvocato di “Giusva”, Giovanni Cipollone, avrebbe chiesto a Stiz, che faceva parte del collegio giudicante, se fosse a conoscenza del fatto che l’imputato avesse, in precedenza, minacciato la vita del giudice stesso; ricevuta conferma dal giudice, Cipollone lo avrebbe invitato ad astenersi dal fare parte del collegio giudicante e il magistrato lo avrebbe poi fatto, vivendo questo frangente – o almeno così lascia intendere Barbacetto nella sua ricostruzione – come “rivendicazione” dell’ipotetico attentato che non ci fu e come una sorta di velata minaccia.
Perché fantomatico? Perché nei verbali di udienza del processo in cui sarebbe avvenuto lo scambio di battute tra Cipollone e Stiz, pare non esserci traccia di questo dialogo. Per altro, se fosse avvenuto in un momento di pausa del dibattimento, fuor di verbale, non si capisce per quale ragione l’avvocato di Fioravanti avrebbe chiesto l’astensione di un magistrato dalla causa per ragioni di opportunità, dal momento che il suo cliente era reoconfesso e quindi certo in partenza della condanna, quale che fossero stati i giudici a comminarla. Per di più, giunto in aula a testimoniare sul punto, Barbacetto ha detto di non aver ricordi precisissimi del colloquio con Stiz, colloquio che non registrò e di cui ha detto di non trovare più gli appunti. Insomma, l’ennesima “suggestione letteraria”, palesemente poco fondata, utile solo a rafforzare nei giudici popolari l’idea che i Nar, in un qualche modo, fossero collegati a Ordine nuovo e, tramite questo, ai servizi segreti deviati.
La solita “tiritera” inutile, il cui esito – sono stati disposti accertamenti sul punto: l’acquisizione dei verbali d’udienza del processo per la rapina alla gioielleria Giraldo e la convocazione di Cipollone -, semmai sarà giusto quello di porre dei dubbi sul valore dei libri di Barbacetto. Tanto più che questa ipotesi dell’attentato a Stiz non regge dal punto di vista logico, contraddicendo in maniera radicale buona parte della ricostruzione storico-giudiziaria della vicenda dei Nar a Treviso. Come si ricorderà, infatti, proprio Gilberto Cavallini, per il quale la “capitale della Marca” rappresentava il rifugio principale e il luogo dove, sotto il falso nome di Gigi Pavan, conduceva vita tranquilla con la fidanzata e il figlioletto neonato, rimproverò aspramente Luigi Ciavardini per l’incidente che ebbe e per la poca cautela con cui si mosse lì, in quanto era suo volere che nulla insospettisse le forze dell’ordine della città. Dunque, è alquanto improbabile, per non dire impossibile, che Cavallini avesse anche solo pensato di compiere un attentato in quella Treviso che rappresentò per lui il rifugio perfetto, in quegli anni. La logica, però, sembra albergare di rado, in quel di Bologna.