Morsi, graffi e botte alla figlia: «Ucciditi o lo facciamo noi». Genitori islamici alla sbarra
Umiliata, minacciata, picchiata e cacciata di casa. «O ti uccidi, o lo facciamo noi», dicevano i genitori islamici alla figlia minorenne, colpevole ai loro occhi di aver spedito un selfie al fidanzato. No una foto hot o video sexy come spesso accade tra gli adolescenti più inquieti e disinibiti oggi, ma una semplice foto in posa, magari con un sorriso stampato e occhi traboccanti di sentimento. Un caso davvero inquietante, commentato anche dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni in una riflessione postata sul profilo facebook: «Insultata, picchiata e minacciata di morte dai propri genitori perché ha osato inviare delle foto al fidanzato. Shaila ha fatto quello che fanno tutti i ragazzi della sua età e per questo merita di essere punita? Non è questa l’integrazione che vogliamo in Italia»…
Genitori islamici alla sbarra: picchiavano e minacciavano la figlia per i selfie al fidanzato
È così che una coppia originaria del Bangladesh che vive a Roma ha minacciato la figlia minorenne, evidentemente ritenuta ormai “compromessa” e “indegna”. «Non abbiamo bisogno di una figlia come te. O ti togli la vita da sola, o lo facciamo noi», le hanno intimato senza amore, senza pietà. Addirittura, dalle minacce ai fatti: il padre 45enne della ragazza è arrivato al punto di sfoderare un coltello contro la figlia, prima di cacciarla di casa in accordo con la moglie, madre della giovane rinnegata. Ora entrambi i genitori sono finiti alla sbarra con le accuse di lesioni e maltrattamenti. Atti d’imputazione formale che rendono solo in parte l’incubo che i due genitori integralisti hanno fatto vivere alla figlia in nome della fede islamici e contro l’occidentalizzazione della ragazza 17enne, colpevole ai loro occhi di essersi integrata con il modo di vivere del contesto in cui è stata trapiantata, a discapito dei precetti coranici e dello stile di vita familiare.
«Uccidi o lo facciamo noi»: l’incubo quotidiano vissuto dalla 17enne
Un incubo, dicevamo, che le carte spiegano aver procurata alla vittima «un perdurante e grave stato di ansia e di paura ed ingenerando un fondato timore per la propria incolumità personale, rendendole le condizioni di vita impossibili». O almeno, inconciliabili con la realtà in cui la giovane era abituata a vivere e relazionarsi: come riportano infatti sia il Giornale che il Messaggero che registrano il caso di cronaca in oggetto, «la coppia, pur vivendo in Italia da anni, voleva che la figlia crescesse secondo gli usi e i costumi del Bangladesh e pretendevano di imporle chi frequentare». E ancora: «Per loro non posso avere una relazione. Me lo devono scegliere loro con chi devo stare, con chi devo passare il resto della mia vita», ha raccontato la ragazza. E così, tra urla e punizioni, umiliazioni e paura, nel marzo del 2017 la situazione precipita: i genitori integralisti della ragazza scoprono che la figlia, allora 17enne, e il fidanzato, 20enne, erano soliti scambiarsi foto e selfie improvvisati di notte.
Morsi sulla spalla, graffi sulla schiena, insulti e minacce: poi la fuga dai carabinieri
Foto assolutamente caste e tutt’altro che volgari, eppure ritenute inammissibili da madre e padre che, una notte come tante, intervengono e strappano dalle mani della figlia il telefonino dalle mani. La ragazza prova a opporre resistenza: e il padre sfodera un coltello preso dalla cucina e la minaccia. Lei, in quei drammatici momenti, non riesce a far altro che ripararsi con un cuscino. È a quel punto che, come riportano i quotidiani menzionati poco sopra, «i genitori la immobilizzano cingendole un foulard al collo, e picchiandola con calci e pugni. La madre le morde la spalle e le graffia la schiena mentre il padre le chiede la password del telefono usando parole sempre più minacciose», del tutto indifferenti al fatto che potrebbero anche andare in galera per quanto inflitto fino a quel momento alla figlia. Ragazza che, in quei terribili istanti, approfittando di un momento di distrazione dei genitori, scappa di casa e viene salvata dai carabinieri di Montespaccato. Ai quali racconta le angherie e le sevizie subite, emerse di lì a breve nel corso della visita medica all’ospedale san Filippo Neri, da dove la givane è uscita con una prognosi di 20 giorni: provata, ma salva.