La Russa: «Il premio a Curcio? Figlio di un modo d’intendere l’antifascismo»
Alla fine, dopo le polemiche scatenate dal centrodestra nelle ultime 24 ore, il buon senso ha prevalso e il premio a Renato Curcio, ideologo e militante delle Brigate Rosse – un nome che al solo pronunciarlo evoca terrore, sangue e morte, inferti in lunghi anni bui al nostro Paese– non sarà consegnato. L’ex brigatista avrebbe dovuto ritirarlo in nome e per conto dello zio Armando, attivista partigiano che l’associazione di riferimento e sindaco avrebbero voluto premiare. Stando alle ultime indiscrezioni, però, la cerimonia ufficiale non si farà, e la pergamena vergata dall’Anpi non sarà consegnata. Giusto in zona Cesarini: perché, se non fossero stati sollevati gli scudi, l’evento annullato in calcio d’angolo (tanto per rimanere nella metafora calcistica) sarebbe andato in scena sabato 15 dicembre, con il sindaco di Orsara di Puglia a premiare con una targa dell’Associazione nazionale partigiani il brigatista. A riguardo, dunque, abbiamo raccolto il parere del Vicepresidente del Senato della Repubblica e tra i fondatori, oltre che esponente di spicco, di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa.
Un premio alla zio partigiano di Renato Curcio: a colloquio con Ignazio La Russa
E allora, come valuta senatore l’idea del premio al terrorista Curcio per l’operato dello zio partigiano?
«Non sarei stato turbato se il premio dell’Anpi alla fine fosse stato consegnato all’ex brigatista rosso Renato Curcio, che avrebbe dovuto ritirarlo a nome dello zio Armando, partigiano di guerra. Le dirò di più: non mi sarei scandalizzato ma, al contrario, avrei considerato la scelta perfettamente coerente con la storia di Curcio e con quella delle Br: una storia figlia e diretta emanazione di un certo modo di intendere la lotta antifascista».
Una linea di continuità tra partigiani e terroristi?
«Guardi, non conosco personalmente la storia dello zio di Curcio, il partigiano Armando, so per certo però che c’è stato nel corso della storia antifascismo e antifascismo: O meglio, riconosco che ci sono stati diversi modi di perseguire il dissenso e di cercare di accreditare un principio democratico. Ora, pur non conoscendo la storia del congiunto partigiano dell’ex brigatista, mi sento di dire – visti i trascorsi di Renato Curcio – che avrebbe potuto forse tranquillamente aderire ad una modalità più veemente e intransigente. Poi, tanto per concludere, dare un premio, riconosciuto o meno da un’associazione che oggi ha esaurito, e da tempo, la sua ragion d’essere, oltre a considerarlo la conferma di una linea di continuità nella matrice antagonista contro lo Stato tra attivisti partigiani e terroristi militanti, non mi sconvolge: tutt’altro.
A posto così…
«Certo, anche perché, del resto io il mio dovere da militante e il mio impegno politico-sociale l’ho fatto nel Msi, anche quando, in veste di avvocato penalista, ho rappresentato e difeso le istanze di Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, uccisi dalle Brigate Rosse». Freddati, va ricordato, il 17 giugno 1974, nella sede del Movimento Sociale Italiano di Padova al quale erano entrambi iscritti: il primo era un carabiniere in congedo, il secondo un agente di commercio. Furono i primi delitti commessi e rivendicati dalle Br…