Conte non ha domato l’Europa. E ci mette una pezza: “La manovra è roba nostra”
Dovevano spezzare le reni all’Europa. E poi? A giudicare dalla tormentata manovra che oggi approda alla Camera in terza lettura, che domani sarà votata in tutta “fretta” per evitare l’esercizio provvisorio, il governo gialloverde sembra aver erso molto dello smalto iniziale. Che cosa è successo? È forse la domanda più spinosa rivolta al premier Giuseppe Conte durante il rituale discorso di fine anno. Il presidente del Consiglio, sorriso d’ordinanza, risponde confermando il mantra della manovra scritta guardando al popolo e non sotto dettatura di Bruxelles, «idea – si giustifica Conte – accarezzata dall’opposizione».
Conte: «La manovra è stata scritta a Roma»
«Non ho mai consentito che mettessero in discussione i punto cardine della manovra. La legge è stata scritta a Roma, una sola cosa ci è stata suggerita da Bruxelles e riguarda la clausola di congelamento finale». Difficile compito quello di spiegare come si conciliano le stime ottimistiche del governo sulla crescita,con tutti i dati recenti, che danno l’economia italiana in rallentamento, con il rischio addirittura di un ritorno della recessione. Si concentra sulle lodi al lavoro della squadra di Palazzo Chigi, compatta come non mai a dispetto dei cattivi giornalisti che ricamano sulle liti. «Non è possibile che non si realizzi una crescita robusta. I fondamentali del sistema economico italiano – rimarca il presidente del Consiglio alla prova dei fatti dopo essere stato giudicato per mesi una pallida controfigura dei due vicepremier rivali – sono solidissimi. Abbiamo un debito che incute un certo timore a guardarlo ma se aggiungiamo altri fattori di valutazione scacciamo via questo timore. Siamo la terza economia della eurozona, la seconda industria manifatturiera, siamo nel G7… Molti Paesi hanno un debito più contenuto ma non hanno un risparmio privato e sono dipendenti dall’estero». «Questo non è il governo delle lobby, dei potentati economici, dei comitati di affari. Non ricevo nelle stanze di Palazzo Chigi personaggi che rappresentano interessi particolari, lobbisti – ci tiene a precisare – ricevo persone che hanno incarichi istituzionali… la nostra agenda di lavoro è dettata dai bisogni e dalle urgenze dei cittadini». Un po’ salviniano, un po’ montiano. Come l’ex premier oggi senatore a vita, Conte si destreggia con toni monocorde tra cifre e slogan. Paragonato dal Corriere della Sera a Forlani per lo stile moderato, si schermisce: «Non so, fate voi».
«Il governo durerà 5 anni, sono sicuro»
Senza picchi, senza accelerazioni, Conte è abilissimo nel prendere le distanze dai temi più scottanti e dalle contraddizioni del suo governo. «Questa esperienza di governo funziona e continuerà a funzionare perché si regge su una amalgama perfettamente riuscita del giallo e del verde. Non c’è mescolanza colori, che restano riconoscibili e distinti ma si è creata, per un equilibrio chimico, una perfetta amalgama alla quale contribuisco anche io». E qui il premier non sfugge alla tentazione dalemiana di attaccare la stampa: «Voi giornalisti ci descrivete sempre alle prese con litigi furibondi ed invece non c’è mai stato un vertice in cui ci sia stata una seria litigata, non è mai successo». L’amalgama, scommette Conte, durerà 5 anni, anche perché serve tempo per realizzare un processo riformatore. «Non sarò pago finche non avrò speso le mie energie per rendere più equo il sistema fiscale», promette solennemente. «Il governo si impegna a evitare l’aumento dell’Iva nel 2020-2021. Nel 2020-21 le clausole di salvaguardia ci mettono davanti dei numeri importanti ma in pochi mesi noi abbiamo dovuto recuperare 12 mld e mezzo per neutralizzare l’aumento dell’Iva, che è un’eredità del governo precedente». Anche sul terreno minato delle grandi opere si muove felpatamente declinando le risposte al futuro. Per la Tav si deciderà entro pochi mesi, dice sottolineando (facendo probabilmente arrabbiare Di Maio e i suoi) che il suo esecutivo non è contrario alle grandi opere. Scontata la risposta sulla febbre da europee: «È evidente che non farò campagna elettorale. Continuerò a occuparmi del governo». Immancabile la domanda sull’emergenza editoria. «Ci sarà un tavolo che affronterà i problemi derivati dai tagli ai finanziamenti pubblici per le imprese editoriali, al quale siederà anche il presidente del Consiglio», ha detto aggiungendo che il dossier è già in mano al sottosegretario Vito Crimi. Rimpasto? Sì, no, forse. «Questo è un discorso che un po’ esula dalla sensibilità e dalla visione del presidente del Consiglio. L’esigenza eventuale di un rimpasto maturerà in seno a una delle forze politiche, sarà comunicata, semmai, all’altra forza politica. Io verrà messo a parte di questa istanza se condivisa. E se ci fosse una soluzione che, casomai, dovesse essere prospettata poi la valuteremo».