Aria di scissione nel Pd. Minniti abbandona la corsa. Renzi: «Non faccio il burattinaio»
Marco Minniti spariglia le carte del tavolo democratico a poche settimane dalle primarie. L’ex ministro dell’Interno, di delusa fede renziana, si ritira dalla corsa alla segreteria. Dopo giorni di silenzio e troppe voci di corridoio arriva l’intervista chiarificatrice a Repubblica nella quale spiega il gran rifiuto. «Quando ho dato la mia disponibilità alla candidatura, sulla base dell’appello di tanti sindaci e di molti militanti che mi hanno incoraggiato, quella scelta poggiava su due obiettivi: unire il più possibile il nostro partito e rafforzarlo per costruire un’alternativa al governo nazionalpopulista. Resto convinto – spiega Minniti – in modo irrinunciabile che il congresso ci debba consegnare una leadership forte e legittimata dalle primarie. Ho però constatato che tutto questo con così tanti candidati potrebbe non accadere. Il mio è un gesto d’amore verso il partito».
Minniti lascia la corsa per la segreteria
Un gesto d’amore che rischia di mandare in tilt la già sgangherata macchina dem e procurare fratture interne a cascata. «Ci sono momenti in cui bisogna assumersi delle responsabilità personali” anche a rischio di deludere le persone che su di te hanno atto affidamento», spiega l’ormai ex candidato alla segreteria che lamenta l’eccessivo numero di candidati alla successione di Renzi, dopo la parentesi di Martina. «Si è appalesato il rischio che nessuno dei candidati raggiunga il 51 per cento. E allora arrivare così al congresso dopo uno anno dalla sconfitta del 4 marzo, dopo alcune probabili elezioni regionali e poco prima delle europee, sarebbe un disastro». L’addio alla corsa del candidato più forte dopo Nicola Zingaretti (restano in pista per ora Maurizio Martina, Matteo Richetti, renziano doc, e Francesco Boccia, vicino al governatore pugliese Emiliano) fa riaffiiorare l’ombra della scissione. Proprio Repubblica dà notizia di una lista che sarebbe pronta già da gennaio per presentarsi alle elezioni europee composta dalla fatidica “società civile ”guidata dall’ex premier rottamatore, che nelle ultime ore avrebbe spinto l’acceleratore sotto il pressing di Carlo Calenda. Un piano che non va giù a Minniti che avrebbe chiesto ai renziani di sottoscrivere un patto in cui si prometteva fedeltà al Pd, ipotesi scartata dagli stessi interessati.
Renzi: non faccio il burattinaio
Al no, grazie” di Minniti Renzi risponde con un lungo post su Facebook: «Chiedetemi tutto ma non di fare il piccolo burattinaio al congresso del Pd. Da mesi non mi preoccupo della Ditta Pd: mi preoccupo del Paese. Che è più importante anche del Pd». Solito piglio da Pierino salvatore della Patria, Renzi schiva il problema e smentisce qualsiasi responsabilità. «Oggi i media parlano di nuovo delle divisioni del Pd. E naturalmente c’è sempre qualche fonte anonima che dà la colpa a Renzi. Strano. Non farò mai il capo di una corrente. Faccio una battaglia sulle idee, non per due poltrone interne. Per me le correnti sono la rovina del Pd. Chi vincerà avrà il mio rispetto. Quello stesso rispetto che non ho avuto quando dopo aver vinto due volte col 70% – sono stato attaccato dal fuoco amico dal giorno dopo». Intanto Graziano Delrio sul Corriere della Sera prova a metterci una pezza a colori: «Lavoriamo tutti per l’unità e vogliamo che tutte le personalità del Pd, da Renzi a Gentiloni, da Zingaretti a Bonaccini a Martina, siano in una stessa comunità. Il nemico è fuori di noi, non dentro di noi».
Non faccio il burattinaio! Una volta tanto Pinocchio ha ragione, il burattinaio era Mangiafuoco