“Ti chiamo tra un minuto”: amore e morte nella Napoli di Leandro Del Gaudio

14 Ott 2018 19:43 - di Luca Maurelli

Il vero colpo di scena, in un “giallo” che si rispetti, non è la scoperta dell’assassino ma la rivelazione di un dettaglio apparentemente insignificante, secondario, quasi estraneo alla storia principale. Come quello di un amore impossibile. Per Adriano il dettaglio è un’ex amante un po’ stronza e molto di classe, il ricordo che la tiene in vita, l’ossessione che riempie la solitudine del giornalista famoso che coltiva un’utopia, fino alla scoperta dell’impensabile legame tra quella creatura mitologica e una squallida figura senza morale. Il grande amore coltivato da Adriano in segreto, all’ombra dei suoi tacchi e della sua minigonna, “la Kryptonite” nella sua testa, gli infliggerà il più doloroso dei “buchi”: proprio lei, la migliore, stava con il peggiore di tutti, e non solo. Ai lettori la scoperta del chi e del cosa.

L’amore rimpianto non è l’unico spunto cinematografico del romanzo “non fiction” di Leandro Del Gaudio, “Ti chiamo tra un minuto” (Rogiosi editore, 214 pp, 14 Euro), un giallo che aspira ad essere qualcosa in meno nell’intrigo ma molto di più nella trama psicologica dei personaggi che si intrecciano sullo sfondo di tre vicende di cronaca che si richiamano a fatti realmente accaduti a Napoli ma che nel libro restano insoluti, come nella realtà. E’ un libro di emozioni, di sentimenti e pentimenti, più che di morti e camorra, rosa più che rosso sangue o giallo mistero. In una città dove una mozzarella all’alba può atteggiarsi a colazione, un morto può trasformarsi in cartolina se ha la fortuna di essere ucciso col Vesuvio di sfondo, dove un informatore preferisce incontrarti in libreria piuttosto che in un sottoscala, in cui un giornalaio può essere più informato di un giornalista e un politico più sensibile di un bambino sorpreso con le mani nella marmellata, Leandro Del Gaudio, cronista di giudiziaria del “Mattino”, tratteggia un copione teatrale su un palcoscenico tridimensionale nel quale, a turno, salgono i protagonisti con una scena che cambia in continuazione sfumando di volta in volta i personaggi.

Adriano, il “Gdc”, il “giornalista del cazzo” – da definizione sprezzante delle sue “vittime” –  narciso e disincantato, ma non ancora rassegnato, si muove consapevole del suo ruolo di burattino dei magistrati, delle fonti, delle spie, del suo stesso amore impossibile che lo tiene in ostaggio con un filo sottilissimo ma infrangibile, quello del ricordo. E’ il bel Robert Redford di “Tutti gli uomini del presidente”, il Bob Woodword che fa i conti col terrore di essere usato, che lavora al fianco del vecchio Sergio, il capocronista con un amore consunto e lo scoop nel cassetto da una vita, combattuto tra la voglia di rivelare le sue verità e la tentazione di farsi i fatti suoi su una vicenda – uno scudetto stranamente perso dal Napoli – che farebbe male a tutti e non riporterebbe indietro le lancette, come il Tom Hanks che in “The Post” si chiede se sia giusto rivelare, a guerra finita, le bugie del governo Usa sul Vietnam, a cadaveri tumulati. Ma nella storia vive anche un altro “classico”, il politico che l’ha fatta grossa, Ugo, incastrato, ricattato, indotto al suicidio liberatorio, poi c’è il giovane Alessandro, lo stagista, forse la coscienza critica di Adriano, forse inconsciamente innamorato professionalmente o altro della sua “Kryptonite”, Adriano il giornalista, il mito, da aiutare, salvare. Ma la figura più riuscita è quella dell’ispettore addetto alle intercettazioni, “Pollicino”, citazione in salsa napoletana di Gerd, il funzionario della Stasi protagonista de “Le vite degli altri”, il film premio Oscar che meglio descrisse la paranoia di chi per lavoro ruba esistenze altri e poi si ritrova a non poter fare più a meno di quelle inconsapevoli compagnie quotidiane.

Calciopoli, tangentopoli, camorra: la trama di “Ti chiamo tra un minuto” è solo un pretesto per piccoli colpi di genio letterari di cui Del Gaudio dissemina il libro, dal format mentale del capocronista che pensa per titoli, alla metafora del tapis roulant come ricerca della morte, alla sottolineatura scritta della battuta forse incomprensibile, all’ammissione finale sincera e sorprendente dell’autore di “non aver alcuna chance come giallista” nonostante la copertina bianco e nero e a figura circolare, come nella vecchia collana dei gialli Mondadori. Del Gaudio spiega di aver solo cercato di descrivere un lavoro come un altro, quello del giornalista, inserendolo in un contesto vero, difficile, a volte rigettante. Si sorride, ci si appassiona ai personaggi, si riflette sul ruolo dell’informazione  e si osserva la città dal racconto in prima persona del “giornalista del cazzo”, come un drone di Sarri in volo sulle pedine di una città in ostaggio di se stessa che non si diverte più come un tempo quando una battuta in dialetto, una furbata, uno scorcio caprese, rassicurava e sedava i suoi abitanti. Del Gaudio, il romanziere-giornalista che non aspira a scovare bastardi a Pizzofalcone o amiche geniali nei vicoli, può creare un genere e dare un futuro al suo “Gdc” anche svuotandolo di un po’ di retorica vesuviana e portandolo altrove, magari a New York o forse, ancora meglio, a Bolzano. Adriano, in altoatesino, funzionerebbe lo stesso, e questo è un complimento.

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