Governo, luci e ombre nel bilancio dei primi 100 giorni del “cambiamento”
Cento giorni ma non li dimostra. Nel senso che a parte il contrastatissimo decreto Dignità sui contratti a termine e una marea di annunci quasi mai seguiti da fatti anzi spesso smentiti da ardite retromarce (clamorosa quella sui vaccini), i primi tre mesi dell’autoproclamato “governo del cambiamento” non sembrano aver (ancora) traghettato l’Italia in quella sorta di nuovo cinema paradiso immaginato dagli elettori. Unica, lodevole eccezione l’attivismo di Salvini sull’immigrazione. Tanto chiara e netta da mettere a nudo il solidarismo peloso di un Macron e da costringere lo spagnolo Sanchez a darsi una mossa nel Mediterraneo. E tanto è bastato per conferire al leader leghista una statura quasi semidivina. Che ci sta tutta alla luce dell’esasperazione cui la politica dei porti spalancati e dell’accoglienza senza limiti ha condotto i cittadini. Ora, però, occorrerebbe occuparsi anche d’altro: le “stese” di Napoli, ad esempio, dove le babygang continuano a sparare per strada e a fare il tiro al bersaglio sui balconi. Porvi fine è competenza del Viminale, non degli antichi Romani. Confidiamo che il ministro prenda nota. Comunque sia, il suo bilancio è l’unico in attivo. Non così per il governo nel suo complesso, il cui “bottino” in termini di provvedimenti nero su bianco non va oltre il già citato decreto Dignità. Il resto ha tutta l’aria di somigliare ad assegni post-datati. Sarà la legge di Stabilità a dirci nelle prossime settimane se i proclami della campagna elettorale saranno onorati tal quali o se il bagno di realtà imposto dallo spread indurrà a più miti consigli Di Maio e lo stesso Salvini costringendoli a rivedere tempi e proporzioni delle loro promesse. Le più recenti sortite sembrano andare in questa direzione e il “tutto e subito” degli inizi sta cedendo il posto al respiro di un’intera legislatura. Tutto normale: «Settembre – si ascoltava in una vecchia canzone di Francesco Guccini – è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età». Era il 1972 e il “governo del cambiamento” era di là da venire.