Strage di Bologna, Francesca Mambro: «Mai stata un’estremista di destra»
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo
Caro direttore,
i giornali c’inzupperanno il pane, ma l’espressione usata da Francesca Mambro – e che tanto scalpore ha suscitato in aula oggi – è ficcante e spiega bene, meglio di tante prolisse analisi, l’origine e la natura dei Nuclei armati rivoluzionari. La frase, prima di tutto, pronunciata dalla Mambro a tarda mattinata, nella terza seduta di esame testimoniale al nuovo processo per la strage del 2 agosto, processo a carico di Gilberto Cavallini: «Non sono mai stata un’estremista di destra!».
Facce vuote, occhi spalancati, anche quelli del presidente della Corte d’Assise, Michele Leoni che, prima della pausa pranzo, cercherà con diverse domande, anche polemiche, di comprendere il senso autentico dell’espressione. E non ha tutti i torti, il giudice, a stupirsi di una tale affermazione: come può rifiutare l’etichetta di estremista, una donna che ha scelto la tragica strada della lotta armata? In realtà, quelle parole sono oscure solo per chi è sempre stato, per qualsiasi ragione, estraneo al mondo della Destra italiana e, conseguentemente, appaiono scandalose solo a chi – vuoi per “cultura”, oppure per malizia – della Destra ha sempre e solo coltivato e posseduto un’idea stereotipata.
Francesca Mambro – e lo ha pure precisato esplicitamente – ha inteso riaffermare la sua origine di «militante del Msi e del Fronte della Gioventù e del Fuan», appartenente cioè a quella «Destra istituzionale e legale» a cui lei, insieme a mille e mille altri ragazzi, sul finire degli anni ’70, a Roma assicurava l’agibilità politica, difendendone gli spazi e le sedi in un durissimo e impari scontro fisico coi comunisti e con la sinistra extraparlamentare.
Una «militante del Msi» che, in particolare dopo i fatti di Acca Larentia, si sentì, insieme a tanti altri ragazzi, abbandonata e indifesa a fronte della violenza rossa, a cui sembrò associarsi anche quella delle forze dell’ordine. Una «militante del Msi», quindi, che sceglie la strada dell’eversione per incomprensioni, per la sensazione d’abbandono, per l’impossibilità di potersi sentire ancora parte attiva e partecipe di un progetto politico coltivato all’interno di istituzioni che, in altre sedi, sembravano organizzare una dura repressione proprio del suo ambiente.
Tutt’altra cosa, insomma – ed è questo il senso autentico e fondamentale, almeno da un punto di vista storico, oltre che processuale -, rispetto alla scelta di chi, precedentemente, da Ordine nuovo a Terza posizione, partendo da una radicale contrapposizione alla Destra missina, compì percorsi verso orizzonti nebbiosi, in cui era facile anche accompagnarsi o farsi accompagnare da personaggi risultati poi equivoci, quando non proprio organici alle strutture deviate del pottere.
Ecco perché la Mambro non si sente «un’estremista di destra»: perché distingue la «pratica» – certamente estrema, estremamente estrema della “azione” dei Nar – dal “movente” che li fece agire: la semplice volontà di un gruppo di ragazzi, per quanto scellerata, di reagire con la stessa identica intensità alla violenza a cui era sottoposto.
Una visione fuori da ogni teorema e – ancor di più – fuori da ogni possibile “teoremizzazione”, poiché si trattò banalmente, ma anche furiosamente, come furiose sempre risultano le reazione “banali”, di una volontà di sopravvivenza fisica, prima ancora che politica. Nulla, insomma, che si potesse o si possa – ora come allora – coniugare con le ipotesi complottiste che dominano e hanno determinato questo nuovo processo per la strage del 2 agosto. Come, per altro, sanno prima di altri proprio i pubblici ministeri oggi impegnati a scrivere questo nuovo capitolo giudiziario sulla vicenda di Bologna: ragazzi, ragazzi che si sentirono traditi e indifesi da un partito che non riuscì più, all’alba degli anni ’80, a proteggerli come avrebbe dovuto, come forse avrebbe voluto senza esserne capace, e giammai strumenti di chissà quale “Spectre” massonico-atlantista. Ragazzi che, per paura di perdere le loro vite, hanno finito per gettare via la loro esistenza. Gettare via, però, senza venderla ad alcuno. Questo, che le si creda o no, ha detto Francesca Mambro oggi.
Massimiliano Mazzanti