Il Washington Post spara a pallettoni e sbaglia mira: «Salvini amico di Putin e Trump»
Si prende un attimo di pausa dal fuoco di fila di accuse e recriminazioni sparato contro Donald Trump, il Washington Post, e sposta il mirino su Matteo Salvini a cui, evidentemente, non perdona il sostegno dato al presidente nella campagna elettorale americana. Eppure non è passato molto dal 7 marzo, quando, a urne chiuse e vittoria assegnata, lo stesso giornale scriveva: il successo della Lega? «merito soprattutto del geniale 44enne uomo comune che predilige jeans sbiaditi, t-shirt e una retorica anti-Islam», abile nel conquistare milioni di voti «abbandonando il vecchio regionalismo del partito», raccogliendo i dubbi e convogliando «le paure di chi teme migranti e burocrati di Bruxelles».
Ecco perché il Washington Post le spara grosse su Salvini
E allora, contrordine compagni: dopo la carota arriva il bastone, anzi, arrivano le bastonate mediatiche del quotidiano statunitense che torna a puntare il dito contro il vicepremier appena incaricato, definito il «leader di un partito secessionista regionale un tempo marginale che i sondaggi ora mostrano sul punto di diventare il più popolare del Paese». Quindi, l’affondo giornalistico che rivela la paura politica mascherata da dissenso che, per quanto mistificata tra le righe di improperi e logori luoghi comuni propagandistici, sa di demagogia più che di analisi distaccata: insomma, i maggiori “rischi” individuati dall’ascesa al governo di Salvini dal noto quotidiano della capitale statunitense, sono legati alla «vicinanza politica di questi partiti con la Russia» e, dunque, un “pericolo” per un Paese membro dell’Alleanza Atlantica. In questa chiave di lettura, perciò, la «posizione dura contro i migranti» o il «contrasto ad alcune delle restrizioni di bilancio poste dall’Unione Europea», per il WP rappresentano una sorta di test di come «una classe politica ribelle possa governare un Paese che ha attraversato anni di crisi economica ed è soggetto ad un forte flusso migratorio».
Da Washington a Bruxelles, tra propaganda e demagogia…
Proclami e enunciazioni a parte, il Washington Post dovrebbe spiegare perché dovrebbe essere considerata una violenza partire dal presupposto nel Belpaese entrino solo le persone che hanno diritto. Perché, Macron può blindare confini e ridisegnare i termini dell’accoglienza in Francia, senza per questo correre il rischio di venire considerato un violento razzista, ma se ad avanzare la stessa intenzione è il nostro ministro dell’interno, tutto cambia. Insomma, in poche parole il WP deve rivelare una volta per tutte e spiegare subito dopo il reale motivo per cui si scaglia contro chi, rispetto ad una confusa e assai poco regolamentata modalità d’accoglienza di massa coatta, prova a proporre soluzioni più logiche e razionalmente sostenibili. E dopo tante risposte, il quotidiano d’oltreoceano forse potrebbe porsi anche una domanda: perché l’Italia dovrebbe accettare che l’Europa si disinteressi completamente della questione legata alla gestione di questo fenomeno nel Belpaese, salvo poi intervenire se qualcuno, dopo anni di esecutivi dem “conniventi” o “insolventi”, qualcuno prova a voler gestire e risolvere il problema? Forse perché il capro espiatorio «si definisce amico di Putin e una spina nel fianco dei burocrati di Bruxelles. È un utente di social media irrefrenabile. Ha un profilo pubblico molto più ampio di quello del nuovo primo ministro italiano, un accademico con poca esperienza politica». In questi termini il Washington Post descrive oggi Matteo Salvini, che «con il suo messaggio “Italy-first” si è proiettato al centro della battaglia europea sulle migrazioni», emulando il nemico americano numero uno: Donald Trump.
Molto d’accordo con l’articolo del Secolo d’Italia, giustissimo, il WP é contraddittorio con se stesso.
Si occupasse dell’America che all’Italia ci pensano i governanti eletti dal popolo che, é diventato razzista e populista grazie ai governi passati.
sempre meglio con Trump e Putin che con obama
per fortuna che siamo con loro e non con obama e co.