Bossetti torna a sperare: «Sul corpo di Yara il Dna di una terza persona»

22 Giu 2018 9:20 - di Paolo Sturaro

Svolta sull’omicidio di Yara Gambirasio. E Massimo Bossetti, condannato in secondo grado all’ergastolo per l’omicidio della 13enne di Brembate, ricomincia a sperare. Il colpo di scena arriva dal professor Peter Gill, padre della genetica forense con cattedra all’università di Oslo. È un esperto di fama mondiale sulle ricerche legate al Dna sui luoghi di un delitto: «Oltre al Dna nucleare di Massimo Bossetti e al Dna mitocondriale di Yara – ha detto parlando con la troupe del documentario Unknow1 – c’era per forza il mitocondriale di una terza persona». Gill era stato contattato come consulente della difesa del muratore di Mapello.

Bossetti e i suoi avvocati hanno sempre contestato la validità dell’esame del Dna. Il processo in Cassazione avrà inizio il 12 ottobre. E nel fascicolo depositato i difensori hanno chiesto che all’imputato venga concesso di difendersi attraverso lo svolgimento di una super perizia sul Dna (negata in Appello) che possa chiarire le anomalie relative alla traccia genetica di Ignoto 1 rinvenuta sugli slip della vittima e che ha portato alla incriminazione. La Corte d’Assise d’appello aveva scritto che sull’identità tra il Dna di Ignoto 1 e Bossetti è stata raggiunta la “certezza del dato”. Per dare loro ragione sui risultati dei test sbagliati, gli avvocati del 48enne di Mapello avrebbero dovuto dimostrare che durante una delle fasi che contraddistinguono le analisi genetiche vi siano state contaminazioni tali da condurre, casualmente o accidentalmente, a realizzare un Dna identico a quello di Bossetti o che le contaminazioni siano avvenute dolosamente. Ma il Dna dell’imputato non era in nessun laboratorio, non poteva essere “ricopiato”. Quindi, ha concluso la Corte, “è agevole rilevare che in questo processo la richiesta di perizia genetica sia manifestamente infondata”.

Padre di tre figli, Bossetti si è sempre definito un uomo normale con una vita ripetitiva, tutto lavoro e famiglia. E così lo descrivevano anche i i vicini di casa: «Un bravo ragazzo, un muratore che conduceva una vita tranquilla». I colleghi invece ricordavano la sua spudorata inclinazione a mentire e quel nomignolo, il Favola, che gli aveva dato proprio in virtù della sua propensione a dire bugie. È stato nel corso delle indagini che il muratore ha appreso, sulla base del Dna, di non essere figlio di Giuseppe Bossetti, come aveva sempre creduto, ma dell’autista Giuseppe Guerinoni morto nel 1999, scoprendo così un segreto rimasto tale per 44 anni. In carcere è finito al centro di un caso per le lettere hot scambiate con un’altra detenuta, Gina. “Una corrispondenza tra due persone adulte che non si sono mai viste fra loro”, ha precisato la difesa del muratore. Bossetti è stato visto piangere durante il processo di primo grado quando si parlava dei suoi affetti. “Amore mio perdonami se ti sto facendo tribolare”, scriveva alla moglie Marita Comi, in una lunga lettera dal carcere in cui raccontava di essere giudicato in prigione come un “ammazza-bambini”. «Eravamo proprio una bella famiglia, una famiglia unita e ora ce l’hanno rovinata», scriveva ancora alla moglie. Un ritratto però che poco combacia con il profilo di feroce assassino dall’animo malvagio tracciato dai giudici.

Commenti

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  • Massimilianodi SaintJust 22 Giugno 2018

    Ma si può vedere se nel sangue c’era traccia di aspirina? Che io sappia, dal mio otorino, chi soffre di epistassi non ne può prendere, perchè fa scoppiare i già fragili capillari. Potrebbe essere una pista!