Strage di Bologna: raffica di “non ricordo” del superpentito Walter Sordi

9 Mag 2018 22:10 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro Secolo,

giornata difficile, quella di oggi, davanti alla Corte d’Assise di Bologna, e in cui a emergere è stato clamorosamente non solo il limite – per non dire il paradosso – giurisprudenziale che sta a monte dell’intero procedimento del nuovo processo intentato contro Gilberto Cavallini per la strage di Bologna, ma, soprattutto, l’imbarazzante testimonianza del superpentito Walter Sordi, testimonianza che è stata una sequenza infinita di “non ricordo”.

Il programma prevedeva l’esame testimoniale di Sordi e di Luigi Ciavardini: il primo, “superpentito”, il quale, in virtù della sua “collaborazione” con la giustizia, saldò con complessivi nove anni di detenzione l’impressionante cumulo di reati connessi durante gli “anni di piombo”; l’altro, praticamente reo confesso di tutti i reati commessi – tranne appunto la strage di Bologna, ma senza mai puntare il dito contro terzi – e, quindi, chiamato a pagare quei reati con quasi trent’anni di reclusione. Ovviamente, non è qui il paradosso di cui sopra.

L’anomalia è emersa quando, in virtù del contrasto tra le vecchie regole processuali e quanto previsto codice vigente, il pentito Sordi ha potuto tranquillamente ripetere per oltre 210 minuti la stessa frase: <Non ricordo, ma confermo ciò che dichiarai negli interrogatori e nei procedimenti passati>. Ora, a 35 anni e passa dai fatti, che uno non abbia ricordi nitidi ci può anche stare. Però, è stato curioso vedere il Sordi cadere dalle nuvole, per esempio, quando i pm gli ricordavano nomi di persone da lui indicate come responsabili di reati o di connessioni a vario titolo con le vicende eversive, come se quegli stessi nomi li avesse sentiti per la prima volta. Il tutto, senza che nessuno, presidente della Corte o “pm”, rilevasse la stranezza, anzi, appunto, più volte giustificata col trascorrere del tempo.

Però, c’è una sostanziale differenza giuridica, tra le chiamate in correità o le ammissioni del Sordi di ieri e le amnesie del “superteste” di oggi: all’epoca, col vecchio rito, in quanto imputato o connesso ai reati su cui testimoniava, Sordi poteva mentire, sia su se stesso che sugli altri, senza incorrere per questo in altre grane giudiziarie; oggi, al contrario, è diverso: si può mentire su se stessi, ma non sugli altri e, quindi, il “mestiere di pentito” è diventato un po’ più pericoloso.

E i tanti “ora non ricordo” di oggi sollevano il dubbio che anche all’epoca, con le regole più garantiste e giuridicamente giuste di oggi, tante “confessioni” non sarebbero state fatte.
Per di più, né i “pm” né la Corte hanno sollevato perplessità su uno dei pochi ricordi nitidi di Sordi, ma rivelatosi di lì a un attimo alquanto contraddittorio: alla domanda sull’omicidio Mangiameli, Sordi ha dichiarato di non saperne praticamente nulla e di aver sempre detto in passato di non essere a conoscenza del fatto e delle circostanze connesse; eppure, quando il “pm” gli ha ricordato che anche su quell’episodio aveva già confessato qualcosa, ha detto nuovamente di confermare le precedenti dichiarazioni, cioè, quelle che un momento prima era sicuro di non aver mai fatto!
Tutt’altro atteggiamento, invece, quello che il Tribunale ha riservato a Luigi Ciavardini, con una sequenza serratissima di domande volte sostanzialmente a farlo cadere in contraddizione – quasi che i 35 anni per lui non fossero un eguale distanza di tempo capace di far perdere i contorni delle precedenti narrazioni – e che hanno portato anche a un momento di alterco tra legali della difesa e Corte con relativa sospensione dell’esame del teste.

Non solo: Ciavardini ha rifiutato più volte di fare il nome della persona che, nell’estate del 1980, gli diede ospitalità nella sua latitanza trevigiana. Ciavardini – va ricordato per chi non ne ha memoria – è stato condannato in via definitiva per la strage, benché abbia sempre protestato la sua innocenza, e anche quel particolare, in un senso o nell’altro, è già stato “pesato” dalla giustizia.

Per di più, oggi, qualora avesse deciso di fare il nome, la giustizia non potrebbe procedere per “favoreggiamento” contro chi o coloro, all’epoca, lo aiutarono nella latitanza. Dunque, perché omettere ancora quei nomi? Ciavardini lo ha ripetuto più volte: perché non ha senso, secondo lui, portare alla ribalta persone che lo aiutarono semplicemente per un senso di solidarietà umana e che, appunto, non essendoci neanche motivi giuridici per farlo, sarebbero solo dati in pasto al sistema mediatico. Apriti cielo!

Per il “pm” e per la Corte, invece, questo silenzio costituirebbe “testimonianza reticente”, preannunciando la possibile incriminazione dello stesso Ciavardini, il quale, essendo oggi solo teste e non più imputato, non ha più il diritto di tacere nulla di quanto sa sulle vicende in esame, secondo quelle stesse norme vigenti che, come si è detto, per Sordi valgono al contrario.

Ampi sorrisi sui volti delle parti civili, quindi, certe di aver messo a segno un punto, nella giornata odierna, anche se è un goal – per usare un linguaggio calcistico – da sottoporre alla “Var”.
Nella settimana che intercorrerà tra l’udienza di oggi e quella di mercoledì prossimo, quando proseguirà la sua testimonianza, qualcuno non mancherà di accorgersi che, in punta di diritto, seppur si sia espresso non correttamente – Ciavardini ha rivendicato la sua scelta in nome di un’etica propria di condotta processuale – e seppur compaia oggi in Tribunale come semplice testimone del processo a Cavallini, in quanto già condannato per il reato in oggetto e in quanto quel particolare sia stato centrale nel procedimento che lo riguardò e lo vide per di più soccombere, ora come allora Ciavardini ha il diritto, se lo ritiene, di non chiamare in causa chi allora fu generoso con lui, ospitandolo.

Insomma, anche questa pallottola dell’accusa si rivelerà spuntata non meno di quelle già sparate fin qui, perché – repetita iuvantCiavardini è testimone per i fatti che riguardano altri, ma non potrà mai essere costretto a dire ciò che non vuole per quanto concerne le sue azioni, in cui è naturalmente ricompreso l’eventuale favoreggiamento di chi lo ospitò.

Massimiliano Mazzanti

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