La triste parabola di Cottarelli: da “Mister forbici” a “Mister spread”
Carlo Cottarelli arriva e lo spread schizza in su. Strano, no? Certo un brutto risveglio per i propalatori della vulgata corrente, secondo cui lo spread grava per definizione sulle spalle dei populisti e si impenna come un purosangue solo se qualcuno gli sussurra le loro ricette spaventa-mercati. Per questo sorprende che ora lo spread bussa più forte quando i populisti mollano e al Quirinale arriva Mr. Forbici. Un po’ come il whisky Johnny Walker che arrivava quando il giorno se ne andava. Qualcosa non torna. Vuoi vedere che lo spread non è il frutto di un complotto né un voto sul colore politico di un governo e neppure un giudizio sulle idee di un probabile ministro? Già , forse lo spread è solo lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i titoli del debito pubblico italiano e quelli tedeschi. Un termometro senza casacca e senza bandiera utile solo a misurare la febbre dei mercati e a testare l’affidabilità di un debito sovrano. Del resto, così è in Francia, in Spagna o nella stessa Germania. Solo da noi lo spread è la continuazione della lotta politica con altri mezzi. Lo imparò a sue spese Silvio Berlusconi, costretto a passare la mano al sobrio Mario Monti. L’opposizione e i giornali, a cominciare da quello confindustriale, furono abili a rosolare il Cavaliere per eccesso di impennata dei nostri titoli di Stato dopo averlo infilzato sullo spiedo delle “cene eleganti” con la “nipote di Moubarak”, in arte Ruby Rubacuori. Da allora, in Italia, lo spread non misura più l’affidabilità di un debito sovrano ma il gradimento di un premier e di un governo presso i santuari politico-finanziari europei e mondiali: Ue, Bce, Fmi. Ieri Berlusconi, oggi i populisti Salvini e Di Maio con annesso Savona. Tutto filava liscio, come da copione. Poi è arrivato Cottarelli e lo spread ha sfondato quota 300. La grande menzogna è finita.