Il farmaco gender che blocca lo sviluppo sessuale. Chi deve pagarlo?

5 Apr 2018 12:55 - di Redazione

Se ne discute da anni: la questione è se sia giusto o meno fare ricorso al farmaco che inibisce lo sviluppo sessuale al fine di aiutare la transizione di genere degli adolescenti “incerti”. Ma soprattutto, è questo è invece dibattito di questi giorni legato alle decisioni dell’Aifa, è giusto che il farmaco sia a carico del servizio sanitario nazionale?

Del tema si occupa Avvenire, spiegando che la triptorelina, cioè il farmaco di cui si parla,  è una molecola sintetica che, se somministrata in modo prolungato, inibisce l’ormone che regola le funzioni testicolare e ovarica. Interpellato dal quotidiano Maurizio Bini, ginecologo e andrologo che da anni dirige l’ambulatorio per la “transizione di genere” dell’Ospedale Niguarda di Milano – oltre al Centro per la fertilità – osserva: «Lavoro in questo settore da trent’anni e ho trattato migliaia di casi. Ebbene, in una sola occasione ho ritenuto in coscienza di fare ricorso a questo farmaco. Quindi…». In pratica assumersi la responsabilità di bloccare lo sviluppo sessuale di un adolescente è una scelta grave e importante che non va assunta a cuor leggero. Conferma Maurizio Bini: “Nessuno può prendersi da solo la responsabilità di bloccare lo sviluppo sessuale di un adolescente se non per motivi davvero gravi e importanti”. In controtendenza rispetto al parere degli esperti, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sta invece per dare il via libera all’utilizzo ordinario della triptorelina per i disturbi della cosiddetta disforia di genere. Quando il provvedimento sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, l’utilizzo del farmaco sarà a carico del Servizio sanitario nazionale. “Vuol dire che un trattamento di sei mesi – il minimo per ottenere gli effetti desiderati – costerà 1.152 euro. Ma, visto che nei casi più complicati e controversi, si arriva a bloccare lo sviluppo della pubertà anche per due, tre o più anni, i conti sono presto fatti”, sintetizza Avvenire.

Il rischio è che si banalizzi il percorso della transizione di genere, come se si trattasse di scegliere dal menu di una pizzeria e come se la vicenda non coinvolgesse in profondità la persona interessata. Che questa sia la tendenza è dimostrato dal fatto che questo tipo di scelta non è più un fatto rarissimo ma vi ricorrono sempre più soggetti. “Quanto pesino in questa corsa alla fluidità sessuale le suggestioni legate alle teorie del gender – è il commento di Avvenire – è difficile da accertare, ma molto probabile. Come è facile immaginare che siano sempre più numerose le persone affette da sofferenze psichiche di vario genere che si illudono di risolverle con la “transizione sessuale” “.

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